Prese il pane e lo spezzò

Un giorno essenziale per noi cristiani quello del Giovedì Santo, che possiamo definire come Pasqua sacramentale.

Al centro c’è il gesto del pane e del vino compiuto da Gesù: prese il pane, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli: questo è il mio corpo dato per voi. Poi prese il calice del vino, lo diede ai discepoli dicendo: questo è il sangue della nuova ed eterna alleanza, sparso per la remissione dei peccati.

Gesti comuni per noi, forse troppo comuni tanto che non facciamo più molta attenzione al loro significato.

Eppure è questo gesto che ci dà appuntamento tutte le domeniche e ci fa convenire alla stessa mensa dai luoghi e situazioni personali più diverse.

Spezzare il pane è un gesto sacro, accompagnato da una preghiera di benedizione. Si riconosce che il pane è dono di Dio, segno concreto della sua Provvidenza.

Questa lettura religiosa della vita non è facile oggi e proprio per questo richiede una testimonianza più coraggiosa anche nelle nostre case. Perché rassegnarsi a questa desacralizzazione in tutto della vita?

Spezzare il pane è un gesto di fraternità, gli è essenziale questo significato, non si può mangiare accanto a una persona dalla quale ci separa l‘inimicizia o il rancore. Condividere il pane con qualcuno diventa un gesto di accoglienza e di condivisione, e giustamente quando si tratta del pane consacrato si è finito con il chiamarlo “la comunione”: essere un solo corpo con il Signore, ma anche fra di noi.

Quando Gesù va a mangiare a casa di Matteo il pubblicano o a casa di Zaccheo la gente capisce bene cosa sta facendo e non approva anzi lo accusa di essere connivente con pubblicani e peccatori.

Così quando noi facciamo comunione con il Signore non possiamo separare o allontanare gli altri.

C’è un amore intenso quando Gesù ordina ai suoi discepoli di preparare e mangiare la pasqua insieme. C’è una intimità profonda, una trepidazione anche per il futuro dei suoi discepoli, per la Chiesa. C’è la preghiera accorata che all’inizio rivolge al Padre perché li custodisca dal maligno e li conservi nell’unità. Come tu e io siamo una cosa sola fa che anch’essi siano una cosa sola. C’è il presentimento delle divisioni e lacerazioni tra i cristiani lungo i secoli, c’è la testimonianza fragile delle comunità cristiane oggi. Ci scommette la vita su questo aspetto e sarà questo il suo comandamento, il comandamento dell’amore, legato essenzialmente all’Eucarestia.

In realtà Gesù sta celebrando non l’antica Pasqua degli Ebrei, ma la sua Pasqua, il suo passaggio alla vita e all’amore attraverso la morte. È la Pasqua di passione, di dolore e di morte. Un evento drammatico, ma portatore di salvezza per ogni uomo.

Quel pane spezzato è il corpo, la vita stessa di Gesù offerta in sacrificio. Quel vino è il sangue che egli spargerà sulla croce, sangue che sigilla un’alleanza nuova ed eterna. Tutti potranno d’ora in poi contare sull’amore di Dio. Egli ci ha tanto amato che ha donato la sua carne perché noi diventassimo il suo corpo.

Ecco perché partecipare all’Eucarestia non può essere fatto solo per dovere o stancamente, ma è essenziale al nostro essere cristiani, un’esigenza.  Anche perché ogni volta che veniamo in chiesa l’Eucarestia ci giudica e ci impone un esame di coscienza, ma soprattutto perché senza questo cibo non avremo mai la forza di uscire dall’egoismo e percorrere vie di fecondità e di bene.

È l’Eucarestia che ci chiede di lavarci i piedi gli uni gli altri. Il rito della lavanda dei piedi che si compie come segno durante la celebrazione del Giovedì Santo è molto facile. Quello che conta però è lavarsi i piedi gli uni gli altri nella vita, in famiglia e all’esterno, nella disponibilità tra i coniugi, nella disponibilità a parlarsi, a riconciliarsi, nella disponibilità a prendersi cura dei parenti anziani, malati, nel lavoro quotidiano fatto con coscienza e testimonianza, nel volontariato, nel tempo libero, nel contributo a vivere la propria comunità cristiana dando del proprio tempo.

È dalla coscienza che Dio è amore e ci ama lui per primo che deriva ogni impegno per la giustizia e per la carità.

Che l’Eucarestia ci renda uomini e donne attenti gli uni gli altri, ci renda cristiani e testimoni consapevoli, ci renda cittadini esemplari che sanno costruire una società cosciente dei suoi diritti e dei suoi doveri, e sappia con gratuità venire incontro alle necessità dei più deboli ed emarginati.

I sacerdoti, che proprio nel Giovedì Santo ricordano la loro istituzione, sono in mezzo ai cristiani non tanto per insegnare queste cose ma per camminare insieme, per ascoltare il Signore e incoraggiarsi a vicenda. Quanto c’è da imparare e ringraziare per tutto il bene diffuso tra le persone, fatto anche in nome di Cristo e per amore di Dio.

Buona Pasqua e il Signore Risorto benedica tutti.

d.g.m