Orionini in cammino nella Chiesa di Papa Francesco

Appunti dei temi trattati[1]

Il Pontefice ha osservato che la radicalità evangelica è richiesta a tutti i cristiani, ma i religiosi sono chiamati a seguire il Signore in maniera speciale: “Sono uomini e donne che possono svegliare il mondo. La vita consacrata è profezia. E c’è bisogno di questa profezia perché, come ha osservato Benedetto XVI, ‘la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione”. Però ha avvertito che “bisogna essere profeti e non giocare a fare i profeti”. “Dio – ha detto ancora – ci chiede di uscire dal nido che ci contiene ed essere inviati nelle frontiere del mondo, evitando la tentazione di addomesticarle. Questo è il modo più concreto di imitare il Signore”.

Interrogato sulla situazione delle vocazioni, il Papa ha sottolineato che ci sono Chiese giovani che stanno dando frutti nuovi. Ciò obbliga naturalmente a ripensare l’inculturazione del carisma.

“Il carisma è uno, ma, come diceva sant’Ignazio, bisogna viverlo secondo i luoghi, i tempi e le persone. C’è il rischio di sbagliare, di commettere errori. Ma questo non deve frenarci, perché c’è il rischio di fare errori maggiori (nell’evitare l’inculturazione). Infatti, dobbiamo sempre chiedere perdono e guardare con molta vergogna agli insuccessi apostolici che sono stati causati dalla mancanza di coraggio. Pensiamo, ad esempio, alle intuizioni pionieristiche di Matteo Ricci che ai suoi tempi sono state lasciate cadere”.

Al riguardo, mi è piaciuta un’espressione di Papa Francesco sul carisma: “il carisma non è una bottiglia di acqua distillata”; il carisma, come l’acqua, assume i sapori e gli elementi della terra in cui passa. “L’inculturazione non ha regole fisse, ha lo spirito che la regola, ma va evitato sia il relativismo e sia l’uniformismo”, ha affermato, aggiungendo che vengono buoni frutti dall’“introdurre nel governo centrale degli Ordini e delle Congregazioni persone di varie culture, che esprimano modi diversi di vivere il carisma”.

Papa Francesco si è soffermato molto sulla formazione che, a suo avviso, si basa su quattro pilastri fondamentali: “formazione spirituale, intellettuale, comunitaria e apostolica. Quando uno giunge alla professione perpetua deve avere integrato in unità queste quattro dimensioni”. Nella formazione è da evitare ogni forma di ipocrisia e di clericalismo grazie a un dialogo franco e aperto su ogni aspetto della vita: “la formazione – ha avvertito – è un’opera artigianale, non poliziesca; deve avvenire in un dialogo da padri a figli”. “L’obiettivo è formare religiosi che abbiano un cuore tenero e non acido come l’aceto. Tutti siamo peccatori, ma non corrotti. Si accettino i peccatori, ma non i corrotti”.

Rispondendo poi ad una domanda sulla vita comunitaria, Papa Francesco ha detto che essa ha una forza di attrazione enorme. Suppone l’accettazione delle differenze e anche dei conflitti. A volte è difficile vivere la vita fraterna, ma se non la si vive non si è fecondi.

Particolarmente commovente è stata la sua testimonianza sui confratelli problematici. La riporto in forma quasi letterale.

“In ogni famiglia ci sono problemi e pensare o sognare una comunità senza fratelli in difficoltà non fa bene, perché la realtà ci dice che in ogni parte, in ogni famiglia, in ogni gruppo umano, ci sono conflitti. Dunque, i conflitti bisogna assumerli.

Occorre fare come nella parabola del buon samaritano: fare come il prete e l’avvocato che vedono il conflitto e girano al largo, lo ignorano? O fare come lo sciocco che va nel conflitto e resta nel conflitto? Oppure, assumi il conflitto, fai quello che puoi, lo superi e continui avanti.