Sull’ottimismo e sulla speranza cristiana

Cara Olga, la cosa più importante di tutte per te è non perdere la fede e la speranza. 
Quando parlo di fede e di speranza non ho in mente l’ottimismo nel senso convenzionale del termine, con il quale di solito si esprime la convinzione che “tutto andrà bene”. Non condivido un simile principio, lo considero – se espresso in modo così generico – un’illusione pericolosa. Non so come “tutto” andrà e perciò devo accettare anche la possibilità che tutto, o perlomeno la maggior parte delle cose, vada male.

L’ottimismo (per come lo intendo io qui) non è quindi qualcosa di univocamente positivo ma è, piuttosto, il contrario: nella vita ho incontrato molte persone che, quando avevano la sensazione che tutto sarebbe andato bene, erano piene di euforia e brio, ma quando, pensando al futuro passavano all’opinione opposta, di solito alla prima occasione, sprofondavano di colpo in un cupo scetticismo. Il loro scetticismo (che spesso si esprimeva in forma di visioni catastrofiche) era, ovviamente, altrettanto emotivo, superficiale e selettivo del loro precedente entusiasmo: si trattava soltanto di due facce della stessa medaglia. Quando qualcuno ha bisogno dell’illusione per vivere, ciò non è un’espressione di forza, ma di debolezza, e lo dimostrano le ripercussioni su una vita siffatta.

Una fede autentica è qualcosa di incomparabilmente più profondo e misterioso di qualche emozione ottimistica (o pessimistica), e non dipende da come in un dato momento la realtà appare effettivamente. Ed è anche per tale ragione che soltanto l’uomo di fede, nel senso più profondo del termine, è in grado di vedere le cose per come sono veramente, e di non distorcerle, non avendo egli ragioni né personali, né emotive per farlo.

L’uomo privo di fede si preoccupa semplicemente di sopravvivere, per quanto possibile, comodamente e senza dolore ed è indifferente a tutto il resto. Baci da Vaek. (Lettera di Vaclav Havel alla moglie Olga).