#tutto sarà bene

Ognuno attribuisce una sua propria valenza a questo ripetere e scrivere #andràtuttobene.

Qualcuno lo scrive perché bisogna pensare positivo. Qualcuno perché è sempre stato ottimista. Qualcuno perché pur pessimista stavolta vabbè proviamoci. Qualcuno perché se tutti insieme ci crediamo, succede.

Ma intanto ci sono migliaia di persone al mondo che a causa del Covid-19 hanno perso il coniuge, uno o entrambi i genitori, un figlio, un fratello o una sorella, un amico, una persona amata. Chissà cosa penseranno loro, come la prenderanno loro tutto questo augurarsi che #andràtuttobene. A loro infatti non è affatto andata bene. Ma allora se anche uno solo resta escluso (e sono invece migliaia) dall’andar bene, si può scrivere #andràtuttobene? Non sarebbe meglio un più realistico #iosperiamochemelacavo? In tal senso allora chi scrive #andràtuttobene intende sotto sotto speriamo di scamparla?

Insomma #andràtuttobene regge all’urto tremendo della sofferenza e della morte di coloro che amiamo?

I cristiani lo possono sottoscrivere #andràtuttobene. Essi sanno tuttavia in quale-altro-senso lo sottoscrivono. In quale altro senso, dunque?

Per il cristiano #andràtuttobene non è un incrociare le dita.

Non perché non possa anche lui cadere nell’errore della superstizione, quanto perché il cristiano sa bene che nella vita non andrà affatto tutto bene. Nella vita qualcosa andrà bene e qualcosa andrà male. Ma bene o male in riferimento a cosa? Questo è il punto: la nostra valutazione che le cose siano andate bene o male avviene in riferimento alle nostre aspettative o in riferimento ad una nostra valutazione morale o funzionale.

Ora ecco il cristiano crede che anche quando in riferimento alle proprie aspettative o ad altre proprie valutazioni qualcosa va male, quel qualcosa, comunque, è ultimamente per il bene. San Paolo lo scrive: “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Lettera ai Romani, 8,28).

Il problema è che, tra altre possibili, ci sono due letture antitetiche di questa frase, una lettura pagana ed una lettura cristiana.

Secondo una lettura pagana, a coloro che amano Dio andrà tutto bene perché Dio li premia così, li retribuisce così grazie alla loro buona condotta.

Secondo una lettura cristiana invece, per coloro che amano Dio, tutto, anche le cose brutte, sono per il bene. Coloro che amano Dio sono consapevoli di essere figli e figli si fidano del Padre, anche quando non capiscono, si fidano del suo amore anche quando le cose non vanno come dovrebbero andare. Anzi, guardando a Gesù di Nazareth, fanno un passo in più: non solo si fidano anche quando non capiscono, ma sono consapevoli che TUTTO è ultimamente bene, anche quando è male, perché orientato al bene. A questo si riferiva la mistica inglese Giuliana di Norwich (1342– 1416) quando nel suo Libro delle rivelazioni scriveva all will be well.

Che tradotto non significa letteralmente tutto andrà bene, quanto piuttosto tutto sarà bene. Alla fine tutto sarà bene e, vedendo tutta la nostra vita come adesso non possiamo nemmeno immaginare, tutto sarà chiaro, e insieme a Ivan Karamazov tutti sapremo: «Voglio essere presente quando quel Giorno d’un tratto si scoprirà perché tutto è stato com’è stato». Allora, solo allora, nella Verità, nella Luce di Dio, ci sarà chiaro che tutto è stato per il bene. Anche tutte le cose andate male. Sarà chiaro che tutto in questa vita era comunque ultimamente e più o meno invisibilmente sostenuto e orientato al bene dalla Misericordia di Dio:  «(…) Il significato vero e proprio della misericordia non consiste soltanto nello sguardo, fosse pure il più penetrante e compassionevole, rivolto verso il male morale, fisico o materiale: la misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male esistenti nel mondo e nell’uomo. Così intesa, essa costituisce il contenuto fondamentale del messaggio messianico di Cristo e la forza costitutiva della sua missione. (…)» (Dives in misericordia).

Non solo ciò che a noi pare buono e giusto è per il bene, ma anche ciò che a noi pare cattivo e ingiusto ed in effetti lo è. E’ il mistero stesso dell’amore di Dio che chiamiamo Misericordia e che Don Orione chiamava Divina Provvidenza.

Resta a questo punto un ulteriore aspetto da disambiguare, pena il cadere nell’errore del fatalismo. È vero che questa vita sulla terra è un passaggio, un transito, un pellegrinaggio verso la vera Vita in Cielo, verso il nostro Destino. Ma è altrettanto vero che in questo transito ognuno di noi ha un compito che può portare a compimento o meno: nessun altro può farlo al nostro posto. Il Destino insomma non è un fato cieco già scritto, ma è frutto dell’incontro misterioso tra le nostre scelte e la Provvidenza di Dio. Il Destino comincia già in questa vita e ognuno di noi concorre a fissarlo. “Ogni attimo viene a noi carico di un ordine e va a sprofondarsi nell’eternità per fissarne ciò che ne abbiamo fatto” (San Francesco di Sales).

Come scrive Don Orione “l’ultimo a vincere sarà Iddio, e Dio vincerà in una infinita misericordia”. Ma “noi per quanto minimi, dobbiamo portare il contributo di tutta la nostra vita”.

Siamo in molti in queste settimane ad avvertire e a leggere quello che sta succedendo come una prova, nel senso biblico del termine. E di fronte ad una prova, un umano è chiamato a rispondere. Il non rispondere o l’esimersi dal rispondere è già in sé stesso una risposta.

Le prove sono sempre un invito del Cielo a cambiare, a convertirci. Perciò sentiamo persone commentare “mah, speriamo che serva a qualcosa, speriamo che tanta gente capisca qualcosa”. Dove per “capire qualcosa” si sottintende “il senso di questa vita”, che non è nel bruciare il tempo correndo avanti e indietro e fare soldi o comunque lavorare e lavorare e poi coi soldi distrarsi e svagarsi finalmente fino a quando si può (fino al nuovo lunedì mattina insomma, o fino al 7 gennaio, o fino alla fine delle ferie). Dicendo “mah, speriamo che tanta gente capisca qualcosa” intendono forse che tanta gente esca finalmente dalla bolla dentro la quale vive, che scelga insomma la pillola rossa decidendo di uscire dal mondo illusorio di Matrix per iniziare a vivere nel mondo reale (del resto fino alla settimana prima della esplosione della crisi legata alla diffusione del Covid-19 l’attenzione di molti era tutta posta al litigio al festival di Sanremo tra due cantanti). 
In tal senso mi piacerebbe che, insieme ad #andratuttobene, con la collegata e legittima speranza che presto tutto possa tornare alla normalità, partisse anche #nonpropriotuttotuttocomeprima.

“Il mondo, arrivai a capire, era un posto pericoloso; la vita umana sopportava un potenziale immenso di dolore; qualcuno avrebbe dovuto renderne conto. Potrebbe sembrare assurdo l’aver toccato tali profondità a un’età così prematura, tuttavia sono grato di averlo fatto. Ho acquistato il senso della serietà dell’esistenza. Mi accorsi che, per vivere, si deve imparare a guardare la morte negli occhi. Prima che potessi sapere ciò che significava la parola, ero stanco della superficialità”. (Erik Varden, La solitudine spezzata, Edizioni Quiqajon Comunità di Bose).

Ho imparato tanto visitando con Don Giovanni Carollo le nostre Case di Carità in Italia e Romania, in occasione degli incontri di formazione carismatica. E ancora di più sto imparando in questi giorni in cui i colleghi impegnati nella cura, tutti, dai Medici fino agli OSS, stanno offrendo la loro vita, e non per modo di dire. Le loro competenze, il loro coraggio, il loro amore, le loro stesse persone sono l’Amparo per il quale Don Orione ha aperto le nostre Case; per molti Ospiti deceduti in queste settimane l’ultima immagine della loro vita terrena è stato il volto vicino di un’operatrice, il volto stesso di Don Orione.

Davide Gandini

 

«La fede pagana è decisamente contrastata dai profeti, da Gesù e da Paolo. Si rimprovera alla fede pagana la presunzione di essere in credito con Dio per le buone opere compiute o per le leggi osservate.

La pratica della fede pagana continua –a quanto pare – a essere diffusa in ogni luogo, tempo, cultura. È però una pratica pericolosa: assume la fragilità degli innocenti e in genere il male come una obiezione contro Dio. Infatti se una persona ha fatto il bene o non ha fatto niente di male perché soffre, perché vive nella fragilità, perché sperimenta la malattia, la sofferenza, la morte prematura? Dov’è Dio? Perché non ascolta le preghiere e non tiene conto del bene compiuto? L’immagine di Dio che ispira la fede pagana è quella di un essere ambiguo che compie scelte arbitrarie e insindacabili: manda il bene e il male a caso. È ingiusto.» (Mons. Delpini, Intervento al Convegno Apostolico Opera Don Orione….)