Capirsi e amarsi (Mons. Franco Costa)

Don Orione aveva il dono singolare di simpatizzare con tutti. Ovunque andasse, la sua carità lo portava a donarsi senza misura: attorno a Lui accorrevano tutti i sofferenti del corpo e dello spirito. Ma credo di non sbagliare affermando che tra Lui ed i Genovesi si instaurò subito – appena cominciò in questa città la sua opera – un’amicizia particolarmente viva e reciproca.
Don Orione amava i Genovesi. I Genovesi lo veneravano. Quest’incontro di umana simpatia e di fervida carità cristiana appare a prima vista piuttosto singolare se si pensa alla natura di questo popolo, assai chiusa e un po’ dura. Studiare i Genovesi è cosa interessante. Appaiono nel loro temperamento parecchi elementi contrastanti.
Sono famosi per la considerazione che danno agli affari e al denaro, sono spenditori molto parsimoniosi, eppure le opere di carità, ieri e oggi, fioriscono in modo mirabile. Si pensi alla storia della carità genovese dalla fondazione dell’Albergo dei Poveri, e dell’Ospedale di Pammatone, benedetto dalle visite di Santa Caterina da Genova, al Villaggio della Carità di Don Orione. Sono diffidenti, poco facili a moltiplicare i rapporti di conoscenza e di amicizia eppure fedeli in questi vincoli. Sembrano di idee ristrette: sono commercianti e navigatori che conobbero e conoscono tutte le vie del mondo. Nel campo religioso sono passati alla critica e non troppo osservanti degli obblighi del culto; eppure sono tenacemente attaccati alla fede e vi è vivissimo il culto della Madonna.
A chi guarda oltre l’apparenza si fa evidente che don Orione ed i Genovesi erano fatti per capirsi ed amarsi. Anche don Orione era schivo di apparenze, guardava al sodo, era un costruttore pieno di audacia. Aveva provato la miseria e sapeva che un soldo e un pezzo di pane hanno un valore, anche se dava quanto aveva ed era soprattutto prodigo di sé. Tra quest’uomo pieno di fede e di risorse umane creatore di opere che stupiscono e stupiranno gli uomini per lungo tempo ed i Genovesi silenziosi, serii, industriosi, tenacissimi, l’intesa sorse e s’accrebbe continuamente possiamo dire fino ad un amore di predilezione da parte di don Orione e fino all’entusiasmo devotissimo da parte del buon popolo di Genova. Per lunghi anni Egli veniva regolarmente a Genova un giorno alla settimana e spesso anche più frequentemente. Passava attraverso le sue case che sorgevano una dopo l’altra quasi come un miracolo. Le tappe di questo fiorire ed estendersi di carità sono ben note: la Casa di via Bartolomeo Bosco, Quezzi, Castagna, Molassana, Paverano, infine Camaldoli. Era inesauribile nell’ideare assistenza fraterna per ogni miseria e nell’attuare le opere più vaste e più varie. Ma queste grandiose opere dicono solo una parte delle sue attività a Genova. Era l’amico, il consigliere, il confortatore di moltissime famiglie. Era cercato da tutti ed appena entrava in una famiglia si aprivano i vincoli più forti della venerazione ammirata e commossa. Quante scale ha salito a Genova, a quante porte ha bussato, invocato od inatteso, quante lacrime ha asciugato, quante anime ha condotto al Signore! Pur moltiplicando la sua instabile attività da tutti non poteva andare, allora si chiudeva nella piccola stanza di via Bartolomeo Bosco e per giornate intere riceveva, benediceva, soccorreva, confortava. Quanta gente è passata per quell’umile casa! Vi si incontravano le persone più note e più umili, più vicine e più lontane alla pratica cristiana, più ricche e più povere. Il tempo era prezioso, tanti attendevano, riceveva brevemente, ognuno usciva con un volto più sereno: almeno un istante ognuno si era sentito capito ed amato dalla carità di Cristo. Un ricco, continuo scambio di doni consacrò l’incontro dei Genovesi con don Orione. Egli diede il suo cuore, la sua intelligenza per soccorrere quanti poteva; donò a Genova una serie di Case per tutte le miserie; portò fede, la pace cristiana in tante anime. A sua volta ricevette affetto e dedizione, denaro in pochi spiccioli e in forti somme, l’offerta di anime generose che si unirono alla sua opera per partecipare alla sua carità e dividere la sua fatica.

Dal libro: Le mani della Provvidenza