Ambulatorio Boggiano Pico: sintonizzare le emozioni nel trattamento a distanza

Tutti ricorderemo quest’anno come l’anno della pandemia, del lockdown, della vita che cambia. A marzo, a pochi giorni dalla ricorrenza della morte di San Luigi Orione, il centro Boggiano Pico chiude, la pandemia lo impone. Le parole di Don Orione guidano gli animi degli operatori: “edificare Gesù sulle rovine della nostra miseria”. Nasce così in modo molto spontaneo ed essenziale, dalla buona volontà degli operatori e dalla disponibilità delle famiglie che si sono messe in gioco, il servizio di teleriabilitazione.

In questo articolo vorrei raccontare il percorso di un bambino, per privacy lo chiameremo Marco (nome di fantasia). Marco è un bimbo nello spettro autistico, con una importante deviazione del suo percorso di sviluppo da quello della curva normo tipica, ama lanciare oggetti ed urlare, non ama i giochi. Non può lavorare da solo con il terapista connesso da remoto, così il ruolo della sua mamma diviene indispensabile. Mamma Magda (anche questo nome di fantasia) instaura subito con la terapista un’alleanza terapeutica. Marco non ama nessun gioco presente a casa. E allora come si fa? Grazie al prezioso aiuto della mamma, la terapista analizza le preferenze sensoriali del piccolo nell’ambiente domestico. Nascono così giochi con cucchiai, acqua, vasetti dello yogurt e pentole, tutti “a misura di Marco”. Magda gioca col bimbo seguendo le indicazioni della terapista e riprende le attività proposte in sessione riabilitativa ogni giorno, filmandole per poterle poi condividere durante la sessione seguente. La sorellina di Marco, che chiameremo Silvia, è incuriosita e non vuole le sia sottratto tempo con la mamma ed il fratellino. Silvia così viene coinvolta, soprattutto nelle attività di imitazione e nel rispetto del turno e questo porta tante risate per tutti. A volte distrae Marco, ma gli regala la motivazione ad interagire ed il sorriso. Marco impara così a scambiare l’immagine delle attività gradite per richiederle, molto più velocemente di quanto non facesse in sessione riabilitativa. Imparando a discriminare, inizia ad eseguire semplici associazioni logiche, aumenta i tempi di attenzione, migliora le abilità motorie ed i correlati comportamentali dell’intersoggettività. Ogni giorno Magda, col supporto della psicomotricista, inserisce una difficoltà in più o una variazione nel gioco per favorire il reale apprendimento di una competenza e non la semplice automatizzazione di un’attività.

Alla fine del percorso di teleriabilitazione, Marco resta un bambino con un’importante atipia di sviluppo e nessuno può cancellare questa base biologica, ma ha imparato a giocare con la mamma e la sorellina e le sessioni diventano cariche di risate e soddisfazione per tutti. La mamma è consapevole di come modellare le proposte di gioco in base agli obiettivi di lavoro e, anche in assenza della terapista, organizza momenti di condivisione e di divertimento per i due fratellini. Alla ripresa dei trattamenti in presenza sia Magda che la terapista sono più consapevoli ed entusiaste. Marco è felice di giocare, ha aumentato i tempi di attenzione e ridotto il bisogno di lanciare oggetti e urlare.

Se prendiamo una scala di sviluppo non osserviamo grossi cambiamenti nei quozienti, ma questa non è forse “qualità di vita”? Canguilhem definiva la salute come “la capacità di ciascuno di adattarsi al proprio ambiente” e quindi certamente il lavoro svolto ha promosso la salute dell’intero nucleo familiare.

Avrei potuto parlarvi di efficacia ed efficienza del trattamento in teleriabilitazione, di family centred care, siblings, tecniche comportamentali, livelli incrementali ed atipie del processamento sensoriale: i modelli teorici di questo trattamento sono questi, ben saldi nella mente del terapista.

Ma ho preferito raccontarvi di un bambino che gioca e ride con la sua mamma e la sua sorellina. Perché la verità è che dietro questi paroloni ci siamo noi: bambini, famiglie e terapisti. La verità è che Magda e la terapista, nel rispetto dei ruoli reciproci, hanno messo il cuore in ciò che condividevano ed il cuore è ciò che potenzia ogni alleanza terapeutica. La conoscenza delle tecniche e dei modelli teorici è fondamento irrinunciabile del lavoro, ma, al primo posto, sempre l’essere umano e l’amore. “Chi fa bene, trova bene”, come diceva San Luigi Orione.

Donatella Colina