Che cos’è l’uomo perché te ne curi?

Noi siamo portati a sottolineare più la fragilità e la piccolezza dell’uomo che la grandezza e preziosità della sua vita.

Nella cronaca quotidiana vanno a finire più la cattiveria e le ingiustizie che la bontà e la grandezza d’animo dell’uomo, più la sua fragilità e impotenza di fronte alle catastrofi naturali o malattie incurabili, che la forza di resistenza e di ricostruzione.

Il salmo 8 della Bibbia si rivolge invece a Dio meravigliato del trattamento speciale riservato alla creatura umana. L’uomo riflette su sé stesso, forse in una notte luminosa guardando la luna e un cielo pieno di stelle, e stupito pensa: se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa mai è l’uomo perché tu ti ricordi di lui, perché ti prendi cura del figlio dell’uomo, così poca cosa di fronte agli astri dell’universo e alla bellezza della natura?

È un uomo che soffre per la sua personale situazione che non lo fa dormire la notte, ma nel suo spirito religioso e poetico esplode: ma come è possibile, Signore, tu che hai tante cose più importanti da fare, che ti occupi di una particella così piccola come sono io?

E così di fronte a questo stupore nasce la preghiera e il messaggio teologico.

C’è una affermazione: davvero l’hai fatto poco meno degli angeli. Così diceva la precedente traduzione fatta dal greco, mentre l’attuale traduzione dall’ebraico dice: l’hai fatto poco meno di un dio, e di gloria e di onore lo hai coronato. Quest’uomo è poca cosa, immerso in un mondo distorto e caotico, eppure è quasi un dio. Quest’uomo concreto, in difficoltà, è stato coronato di gloria e di onore, e tu gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi: tutte le greggi e gli armenti e anche le bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, ogni essere che percorre le vie dei mari.

Quest’uomo fragile, debole, problematico, pieno di paure e di angosce, viene celebrato come signore del cosmo.

Ma in che senso l’uomo ha messo sotto i suoi piedi greggi, armenti, bestiame, uccelli del cielo e pesci del mare?

È una immagine che viene dalla Genesi. È una formula di benedizione: Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».

Alcuni esegeti più recenti vanno oltre l’interpretazione letterale di queste parole. Non è tanto un invito ad addomesticare gli animali o a servirsi di questo o quel bestiame. E poi, gli uccelli del cielo e i pesci del mare come fa l’uomo a metterseli sotto i piedi? Questi esegeti interpretano invece queste parole come un invito di Dio all’uomo a dominare la sua propria animalità e far emergere l’umanità che ha in sé.

 Non si tratta delle bestie che stanno intorno a noi, selvatiche o domestiche, ma di quelle dentro di noi. Una grande metafora cioè per dire la nostra animalità umana, quell’animo bestiale che è nel cuore e che molte volte tenta di prevalere.

Quante metafore di animali siamo soliti adoperare anche noi per qualificare caratteri e atteggiamenti delle persone. Per sottolineare certi difetti diciamo così: sei un asino, sei un coniglio, sei un pavone, e molte altre espressioni del genere. Utilizziamo immagini prese dal mondo animale per indicare qualche cosa che è contorto nel cuore, che è bestiale e lo chiamiamo bestiale proprio perché lo riteniamo inferiore all’umanità.

 Il nostro compito umano allora è quello di riuscire a governare e tenere sottomessa questa animalità latente.

Ed è Dio stesso che non solo mi indica la necessità, ma mi dà anche la capacità di dominare, di mettere sotto i piedi tutti quegli aspetti negativi che possono rovinare la mia vita. Li chiamiamo con i nomi dei vizi capitali: la superbia, l’invidia, la lussuria, l’avarizia, l’accidia, sono bestie che dominano la nostra vita e chi se ne lascia dominare entra in un mondo caotico e diventa un problema per l’altro, diventa appunto un lupo per l’altro uomo.

Ma il Signore mi sta accanto nella notte che sto vivendo e mi dà la possibilità di essere pastore di questa animalità e di dominarla, rendendomi capace di essere veramente uomo.

Leggiamo ancora nella Bibbia che quando Dio crea l’uomo a sua immagine e somiglianza, si ritrova quasi a esortare sé stesso: “Facciamo l’uomo”. Ma forse lo sta dicendo allo stesso Adamo. Facciamo l’uomo, facciamolo insieme. Io mi prendo cura di te per farti diventare veramente quello che sei, una persona umana, ma ti chiedo la collaborazione, perché anche tu sia artefice della tua vita. Non aspettare che venga tutto dall’alto, io mi prendo cura di te perché tu possa realizzare la tua vita.

Così noi, che stiamo imparando ogni giorno, sotto lo sguardo di Dio, a diventare persone umane mature, sentiamo la bellezza anche di aiutare altri a condividere questo cammino di formazione e maturazione. Quando per esempio andiamo a visitare un ammalato o qualcuno che è nel dolore, capiamo che non è il visitare del turista che ammira i monumenti e le opere d’arte, ma è quel far visita che significa prendersi cura di quella persona, entrare nella sua vita, condividere la sua esperienza: è un accorgersi dell’altro, considerarlo parte della propria vita. Esattamente come Dio fa con ciascuno di noi.

D.G.M