Don Orione, come un tralcio nella vite

La storia dei santi, la spiegazione dei santi è lì, in quella scelta primordiale: Dio al di sopra di tutto, Dio come valore unico.

Questa è la storia anche del nostro Don Orione, diventato san Luigi Orione perché ha scelto Dio come valore supremo e lo ha posto in cima ai suoi impegni e alle sue preoccupazioni.

Allora c’è posto anche per gli uomini. “Servire negli uomini il Figlio dell’Uomo”, era il suo moto. Don Orione è conosciuto in modo particolare per le sue opere di carità, ma questa sua operosità gli deriva primariamente dalla sua spiritualità, dall’aver scelto di servire Dio e di  accogliere la sua chiamata alla santità.

“Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Io sono la vite, voi i tralci”. Don Orione, come tutti i santi, era convinto di questo: la necessità di essere radicalmente innestato in Gesù Cristo perché la sua vita non fosse sterile.

È quanto ci fa meditare la Chiesa nella liturgia post-pasquale che coincide quest’anno nel mese di maggio, il mese in cui noi festeggiamo Don Orione, il giorno della sua canonizzazione, il 16 maggio.

“Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me”.

Se c’era bisogno di accentuare ancora di più l’intensità di un rapporto, dopo l’immagine del “Buon Pastore” che ama e conosce una a una le sue pecore, Gesù presenta quella della “vite e dei tralci”.

C’è questa parola, questo verbo che ritma il suo discorso, questo rimanete in me e io in voi, questo portare frutto uniti a lui. Gesù non è solo uno stupendo esempio da ammirare dall’esterno, egli diventa forza interiore del cristiano, sorgente dei suoi sentimenti e delle sue azioni.

Una immagine molto convincente quella della vite e dei tralci se pensiamo che è stata proposta da Gesù la sera prima di morire, quindi quasi il suo testamento: c’è tutta l’intimità di Gesù, la tenerezza e sincerità del suo amore verso i discepoli.

Diventa anche immagine della chiesa, una efficace rappresentazione di ciò che deve sempre essere la chiesa come comunità dei credenti uniti e innestati a lui. Cosa possiamo fare noi senza di lui?

Il simbolo della vite fa riferimento al capitolo quinto del profeta Isaia dove la vigna e i suoi frutti acerbi sono il segno di quel  popolo  incapace di rispondere nella fedeltà all’amore di Dio, il grande vignaiolo.

Qui nel Vangelo però c’è una novità: la vigna non è più l’immagine del popolo ma è Gesù stesso: Io sono la vera vite, dice. Dio non ha più una vigna, questa è stata incapace di portare frutto, Gesù stesso è la vite unica che dà realmente frutti.

I cristiani non sono più la vigna del Signore, ma i tralci di un’unica vite che è Cristo. La Chiesa sono i cristiani uniti a Cristo. Impossibile separare Cristo dalla Chiesa, impossibile essere di Cristo e non della Chiesa o nella chiesa.

 L’insistenza del “rimanete  in me e io in voi”  esprime un legame particolarmente profondo fatto di intima comunione di vita. Non un vago riferimento a Gesù Cristo, non un legame superficiale ed episodico, ma un legame vitale, continuo, una intimità vera fatta di preghiera, di Parola di Dio che rimane in noi, di sacramenti, di Eucarestia: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.

Ecco il Don Orione vero, profondo, non il semplice filantropo o benefattore sociale.

Qualche autore lo ha definito uno dei più grandi mistici del novecento. I suoi scritti spirituali lo rivelano. Una profondità straordinaria che  non era semplice teoria imparata sui libri ma esperienza  vissuta e sperimentata. Ci si chiede come facesse a conciliare tale profonda contemplazione con la sua attività ugualmente intensa e infaticabile.

Sappiamo, e lo si legge nella sua vita,  che spesso alcune ore  della notte, anche dopo giornate di  faticoso lavoro o di lunghi viaggi, le dedicava alla preghiera personale ai piedi dell’altare e a questo proposito si raccontano aneddoti  paragonabili alle  esperienze dei grandi santi mistici.

Di Don Orione noi quest’anno ricordiamo i 75 anni dalla morte. Nacque a Pontecurone di Alessandria nel 1872 e morì a Sanremo nel 1940. Si inserisce in quella schiera di santi che caratterizzò la vitalità piemontese dell’800. Accanto a lui ricordiamo per esempio San Giovanni Bosco e San Giuseppe Cottolengo.

Don Orione era convinto che solo la carità salverà il mondo. Carità come opere di carità, ma soprattutto carità come amore che scaturisce unicamente dall’amore di Dio. E l’impegno di questi ultimi decenni da parte della Congregazione da lui voluta è proprio quello di passare dalle semplici opere di carità alla carità delle opere: non possono solo essere opere assistenziali, ma vi si deve respirare l’amore di Dio. Il tutto cioè va fatto in un clima di  spiritualità. È quanto raccomandava il santo Papa Giovanni Paolo II  parlando ai superiori della Congregazione: voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e raccontare, ma una grande storia da costruire.

d.g.m