Don Orione contestatore

Quando si parla di contestazione il pensiero corre al ’68, il numero a cui gli ormai pensionati, o quasi, fanno riferimento. Come ogni rispettabile iniziativa dispone di almeno due fazioni, debitamente contrapposte. Non desideriamo entrare nel merito, ma soltanto proporre le osservazioni di due lettori di “Epoca” e la risposta che l’allora direttore della rivista diede.
L. B. da Milano, il 12/01/1969: “Non tiro uova e ortaggi… queste forme di contestazione non mi piacciono: ma come contestare diversamente?”.
Nando Sampietro risponde: «Aiuti gli altri a stare insieme. La contestazione non l’hanno inventata i lanciatori di uova. Si può contestare senza seminare l’odio, senza scavare solchi più profondi da uomo a uomo. Don Orione, un povero prete di campagna, ha contestato tutta la vita, per tutta la vita ha protestato contro il mondo che lei mi descrive; ma protestava facendo, non distruggendo. Con un sorriso e con le scarpe eternamente a pezzi, andava dai ricchi e li induceva a dargli un po’ dei loro soldi.
«Ha costruito scuole, orfanotrofi, ricoveri per i vecchi, laboratori per i ragazzi che volevano imparare un mestiere. Ha costruito la sua contestazione in Italia, in America, in Inghilterra, in ogni parte del mondo. Qualche volta aveva talmente fiducia nella sua opera di contestazione che innalzava scuole e orfanotrofi prima ancora di averne i mezzi e la Provvidenza era chiamata a intervenire d’urgenza. Salvò dalla miseria decine di migliaia di giovani e diede loro dignità di vita.
«Questa è la contestazione della quale il mondo ha bisogno: la contestazione di quelli che vanno e fanno, non la contestazione di quelli che distruggono, che aggiungono odio all’odio. Se tutti, per prodigio, e per un solo giorno contestassimo come contestava don Orione (e come hanno contestato e contestano tanti altri, visti e non visti), l’indomani il mondo apparirebbe ai nostri occhi irriconoscibile.
«Se tutti, ogni giorno, spendessimo cinque minuti di buona volontà da dedicare agli altri, questa sarebbe la vera contestazione, la più profonda e la più globale. Tirare le uova e sputare addosso ai carabinieri è cattivo teatro. Seminare altro odio è follia. Lei che ha diciannove anni vada e faccia, con fede e con allegria. Aiuti gli uomini a stare insieme, non a stare divisi e distanti. Li aiuti a capirsi e ad amarsi, non a spararsi».
G.S. da Torino insiste: «Sono un contestatore. Ho letto, in una sua risposta a un lettore, che lei vede la vera contestazione nell’opera di don Orione, il povero prete di campagna che è andato e ha fatto, invece che nelle nostre manifestazioni di oggi. Tirare le uova e sputare addosso ai carabinieri, dice lei, è cattivo teatro. Mentre don Orione ha contestato, dice sempre lei, costruendo scuole, istituti, orfanotrofi in mezzo mondo, salvando dalla miseria decine di migliaia di giovani e dando loro dignità di vita. Ebbene, vorrei che rispondesse con sincerità a questa domanda: forse il mondo è cambiato dopo l’esempio di don Orione? Siamo franchi, signor direttore; nulla da dire sulla santità della vita di don Orione e di altri simili personaggi; ma essi hanno lasciato il mondo tale e quale come l’hanno trovato. Palliativi. Piccole gocce nel deserto. C’è bisogno di ben altro, ora».
E il direttore, il 9/2/1969, completa il proprio punto di vista: «Cioè c’è bisogno di altro odio per fabbricare altro dolore? C’è bisogno di altre prigioni, di altri campi di concentramento, di altre forche, di altro sangue? C’è bisogno di un altro Stalin o di un altro Hitler? Don Orione non ha lasciato il mondo come prima. Nessun don Orione che compaia tra noi anche per un solo giorno lascia il mondo come prima.
Milioni di uomini, che lo sappiano o non lo sappiano, hanno sentito quei passi andare nella notte, portare avanti nella notte il carretto della carità. Pensi, se i don Orione fossero stati diecimila, centomila. Pensi, se oggi i contestatori fossero altrettanti don Orione, umili come lui e forti come lui, e lanciassero esempi, invece di uova marce, e invece di scrivere sui cartelli come vorrebbero il mondo incominciassero a farlo un mondo così, a farlo nel loro pezzetto di mondo privato, nella loro vita di ogni giorno, con pazienza, con coraggio e sacrificio.
Non sono le leggi che cambiano il mondo, non sono i governi che possono trasformare un modo di vivere, guarire gli egoismi e cancellare le ingiustizie. Il mondo non cambia, finché il singolo ometto non cambia, finché l’ometto, un mattino, svegliandosi, non capisce che tutto gli è possibile e tutto è raggiungibile, se egli, invece di imprecare per le erbacce che gli hanno invaso il campo, prende la vanga e incomincia a darci dentro.
Poi le erbacce ricresceranno, si capisce. E l’ometto tornerà a vangare. Purtroppo non possiamo illuderci che basti far fatica una sola volta, una sola estate».