Genova e Don Orione

Continua il nostro cammino alla scoperta delle Case del Piccolo Cottolengo Genovese.  Nello scorso numero, con l’apertura della Casa in via del Camoscio, abbiamo raccontato il battesimo dell’attività caritativa di quel Piccolo Cottolengo che, per la misericordia del Signore e la generosità dei genovesi, di lì a poco avrebbe raggiunto vaste proporzioni fino a diventare la mirabile “costellazione di carità” che aveva previsto il nostro Santo Fondatore. 

Conservatorio di San Gerolamo

Le vicende che portarono all’origine dell’Abbazia di San Gerolamo ebbero inizio in Spagna durante lo scisma d’Occidente della Chiesa cattolica nel XIV secolo; in seguito all’esilio dei papi chi voleva rimanere cittadino spagnolo doveva aderire all’antipapa, pena l’esilio. Un gruppo di religiosi preferì quest’ultimo: approdarono a Genova e chiesero al papa l’autorizzazione a costruire un monastero intitolato al loro protettore San Gerolamo; il 5 agosto 1383 con un breve, il Pontefice acconsentì alla costruzione. Da qui, i numerosi interventi a cui è stato sottoposto il corpo conventuale di San Gerolamo, che nel corso dei secoli non hanno alterato l’unitarietà e la coerenza architettonica dell’edificio. Sviluppato su tre piani, si estende su una superficie pari a 4800 mq circa, di cui un quarto occupata da tre chiostri quadrangolari delimitati da lunghi porticati coperti da volte a botte e a crociera. L’immobile venne riscattato dalla Cassa ecclesiastica (n.d.r. un ente al quale furono attribuiti i beni confiscati) nel 1859 e venne destinato ad abitazione per le “figlie di casa”, poco dopo le figlie furono sostituite da ammalate croniche.

Con la lettera del 13 novembre 1925, protocollo 1399, il presidente F.S. Mosso concedeva in affitto per tre anni il conservatorio San Gerolamo di Quarto a Don Orione. Circa un anno prima aveva aperto la prima casa a Marassi in via del Camoscio ma fu qui, a S. Gerolamo, che ebbe inizio il vero Piccolo Cottolengo Genovese.

Pochissime sono le fonti storiche a riguardo ma, grazie al materiale custodito nel nostro archivio, siamo riusciti a ricostruire i fatti più importanti di quegli anni.

La casa era molto ampia, ariosa e bella con delle corsie piene di luce e porticati meravigliosi capace di ospitare alcune centinaia di persone.

Vi trovarono sistemazione anziani e malati cronici, buone figlie e anche le Suore Sacramentine cieche. La Superiora, che assegnò alla Casa Don Orione, fu Suor Maria Vittoria; le religiose che si prodigavano verso i più bisognosi in quegli anni furono molte. La Casa andava avanti grazie all’aiuto dei benefattori, delle Dame di Carità e alla Provvidenza.

Da un diario di Suor Maria Rosaria, che prestava servizio a Quarto si legge la storia di uno “strano visitatore”, come lo chiamò lei stessa. Scrisse: “I poveri affluivano giorno per giorno, là c’era posto per tutti: uomini, donne, bambini e bambine normali e subnormali. In pochi mesi la casa era già piena. Un bel momento il Signore però volle metterci alla prova. Le bocche da sfamare erano tante e i mezzi venivano a mancare. La Superiora, assai preoccupata, ne parlava con Don Orione e la risposta era sempre la solita: ‘Non temete; pregate e abbiate fede’. Ma intanto i debiti aumentavano […] in quello stesso giorno ero in turno come portinaia: suona il campanello; apro e entra un signore un po’ strano, tutto sovrappensiero e, senza dire nulla, si inoltra verso il vasto porticato, guarda a destra e a sinistra, poi ritorna indietro e mi disse che doveva portare n’offerta ad un istituto ma arrivato davanti alla nostra Casa una forza misteriosa gli impedì di proseguire il cammino… alzo gli occhi verso la nostra porta e una forte ispirazione gli diceva: entra e lascia lì la tua offerta […]. Da quel momento svanirono tutti i dubbi su Don Orione, aumentò la stima e l’amore per lui e nei nostri animi ritornò la letizia e la serenità”.

Dopo quasi tre anni dalla sua apertura, il 25 maggio 1928, con raccomandata, lo stesso presidente che aveva concesso l’affitto ne dava disdetta, pregando Don Orione di lasciare libero l’immobile per il 30 novembre dello stesso anno. Successivamente il complesso di San Gerolamo venne incluso in un progetto di recupero e ristrutturazione degli edifici ospedalieri. Si chiudeva così una bella ma breve parentesi e se ne apriva un’altra tuttora florida e operante: quella di Santa Caterina di via Bosco.

Casa di Santa Caterina di Via Bosco

Bartolomeo Bosco nel 1412 fondò l’Ospedale della “Beata Vergine Misericordia” in vico Pammattone a Genova, nel periodo rinascimentale la Repubblica Genovese unificò tutti gli ospedali esistenti in quello di Pammatone. Nel 1478 vi entrò Caterina Fieschi Adorno e una decina di anni dopo divenne responsabile di tutto. La santa vi morì nel 1510 dopo aver dedicato la sua esistenza ai poveri e agli ammalati (non per nulla il nome Pammatone dal greco pan makion significa palestra di lotta, una lotta per il bene e contro la sofferenza). L’ospedale fu ingrandito nel tempo e rimase per quasi cinque secoli il più grande della città di Genova, assorbendo man mano tutte le attività degli ospedali minori.

Don Orione, venendo a Genova, sarebbe finito proprio là dove la “madre dei poveri”, come chiama Caterina Fieschi Adorno, aveva consumato la sua vita: al Pammatone di Portoria. Il sindaco di Genova, l’allora Sen. Broccardi, aveva chiesto a Don Orione di lasciare la casa di Quarto prima della scadenza del contratto, gli propose, ammirato dalle sue opere di bene, lo stabile municipale di Via Bartolomeo Bosco 2B. Sembrava un ripiego, un modo per riparare lo sfratto da San Girolamo e invece era il tocco magistrale di una regia dall’inventiva senza pari, una regia chiamata Provvidenza. Essendo l’edificio fatiscente, lo stesso Comune intervien direttamente per i lavori di restauro, così solo nell’estate del 1928 Don Orione vi entrerà con le malate di San Gerolamo e quelle di Via del Camoscio, insieme a loro portò con sé un affigie di N.S. della Guardia, alla quale diede in consegna la casa di Via Bosco “perché ne fosse la Celeste Custode e Superiora”. Per tanti anni seguì personalmente l’opera, imprimendovi il suo spirito di carità.

La casa, che in un primo momento venne concessa in affitto, l’8 febbraio del 1944 il podestà Aldo Gardini, previo delibera del Consiglio Comunale, fa dono della Casa all’Opera Don Orione. Al di là di quello che l’immobile può significare per l’accoglienza e l’assistenza dei poveri e dei bisognosi, esso riveste un’importanza unica per chi ha raccolto lo spirito di Don Orione. Quando era in Italia ogni giovedì veniva a Genova e si metteva a disposizione di tutti: per trovare un attimo di pausa si rifugiava su un materasso sistemato nella carbonaia. La superiora della casa, Suor Stanislaa (che qui per ben 33 anni prestò il suo servizio), perché le persone non andassero a scovarlo anche lì, ordinava a fratel Ambrogio Pavesi di far la guardia davanti all’uscio.

Non sapremo mai cosa sia avvenuto di preciso nella stanzetta del Pammatone dove riceveva le persone, alle quali schiudeva orizzonti di misericordia, di carità, di grazia, di conforto e di incoraggiamento. Le testimonianze che ci restano sono sufficienti per ritenerla come un sacrario.

Ricordiamo l’episodio raccontato dall’avvocato Giuseppe Sciaccaluga: «Parlammo delle mie vicende famigliari, della Prima Comunione della mia quartogenita Maria Grazia, di un intervento cui avrebbe dovuto sottoporsi mia moglie e di altro ancora. Al momento del congedo volle donare a mia moglie una corona del rosario, ai miei figli delle medagliette della Madonna della Guardia. Voleva, poi, evidentemente, regalare anche a me qualcosa, ma per quanto cercasse nelle sue capaci tasche non trovava nulla da offrirmi. Rimase per qualche istante perplesso, poi, come parlando a sé stesso, disse queste parole: “E all’avvocato cosa possiamo dare?”. Avrà avuto l’impressione che rimanessi deluso o, forse, ed è questa la mia interpretazione del gesto subito dopo da lui compiuto, per non mancare di carità verso di me. Fu un attimo. Staccò da un occhiello della veste la catenella di metallo scuro alla quale teneva attaccato il suo povero orologio e me la porse. Commosso e confuso l’accettai. La catenella che era stata vicina al cuore di un santo era cosa mia: più preziosa di qualunque altro tesoro».

Ricordiamo poi l’importante testimonianza del Card. Giuseppe Siri, raccolta in alcuni suoi appunti personali, relativa al primo incontro con Don Orione: “Quando sbucai in Via Bosco, a Genova, dove Don Orione riceveva, vidi questo spettacolo. La strada era piena di gente tanto che non era facile avanzare. Aspettano Don Orione, mi dissero. Mentre tentavo di guadagnare la cancellata di Santa Caterina udii un mormorio, ed osservando dall’alto la strada in discesa scorsi sul fondo un’auto che tentava di fendere la folla. Quando l’auto passava, ai lati la gente s’inginocchiava. Vicino a me un uomo protestava di tutto questo, ma quando l’auto fu all’altezza di lui, s’inginocchiò. Predicava sempre con calore insolito, ma l’effetto che se ne sentiva dentro era molto superiore alle cose che diceva… Quella irradiazione diffondeva pace e letizia, il che era grazia di Dio, ma consentiva sempre alla carità senza misura, capace di bruciare tutti i travagli per non offrire agli altri nulla che non fosse serenità e gioia”.

La furia devastatrice della guerra, il 22 ottobre e il 6 dicembre 1942, riduceva ad un inferno di fuoco e di rottami il cuore della città. La sede del Piccolo Cottolengo in via Bosco non fu risparmiata. Fortunatamente il vento cambiò direzione e il fuoco risparmiò le assistite. I religiosi, accorsi noncuranti del pericolo, le trovarono tutte, strette attorno alle suore, che cantavano e pregavano a voce alta per sovrastare il rumore dei sibili, degli scoppi, e dei crolli e le portarono a Paverano e, successivamente in altre case più sicure. Ciò che la guerra distrusse fu ricostruito negli anni successivi dalla carità di Don Sterpi, Don Pensa, dal Grand’Ufficiale Aldo Gardini, da Sr. M. Francesca da Paola, dal Prof. Domenico Isola…
Il fatto non sfuggì all’ammirazione delle autorità che lo vollero perpetuare con un gesto munifico. Il 24 ottobre 1948 il Card. Siri benediceva una lapide con l’estratto della deliberazione del Comune, fatta l’8 febbraio 1944, quando ancora infuriava la guerra. Eccone alcuni passaggi: «Premesso che, a seguito delle incursioni nemiche del 22 ottobre e 6 dicembre 1942, è stato pressoché distrutto lo stabile di proprietà municipale, sito in via Bartolomeo Bosco n. 2B, che il Comune, fin dal 1928, aveva concesso gratuitamente in uso al “Piccolo Cottolengo Genovese” fondato e diretto dal venerato Don Luigi Orione, perché l’Ente anzidetto vi svolgesse la sua caritatevole opera di raccolta e cura dei più miseri relitti della società; che dello stabile suddetto si è salvata soltanto la parte in cui si trovavano i modestissimi ambienti della direzione, dove don Orione riceveva i reietti e gli infermi […] che la Civica Amministrazione, sicura interprete del sentimento popolare, già dopo la scomparsa del Fondatore dell’Opera, aveva divisato di concedere perpetuamente una sede al “Piccolo Cottolengo Genovese” e che, allo scopo di dare una pratica attuazione a detto sentimento, il Comune stesso aveva pensato di donare all’Istituto anzidetto, l’intero stabile in oggetto, e ciò prima che lo stesso venisse colpito e in gran parte demolito dalle incursioni nemiche; che sebbene tale edificio sia ora materialmente semidistrutto, dal punto di vista economico conserva sempre intero il suo valore, in quanto lo Stato provvidamente ricostruisce a proprie spese gli stabili danneggiati dalle offese belliche […] il Comune di Genova ha donato, come dono, al Piccolo Cottolengo della Piccola Opera Divina Provvidenza (Don Orione) Ente Morale con sede in Genova, con l’obbligo di destinarlo in perpetuo a sede e a beneficio del detto “Piccolo Cottolengo” perché in esso si continui a svolgere l’attività benefica per cui è stato fondato, l’intero edificio di proprietà Comunale sito in Genova, Portoria via Bartolomeo Bosco, civico 2B, tanto nella consistenza dei locali rimasti ancora abitabili, quanto quelli che, distrutti dalle bombe, saranno ricostruiti a cura dello Stato […]».
Attualmente nei locali della Casa Santa Caterina ha sede Endofap, ente di formazione professionale dell’ Opera di Don Orione  nato per promuovere la formazione, la qualificazione e la riqualificazione professionale con attività rivolte ad individui appartenenti a tutte le fasce di età; mantenendo un particolare riguardo per le fasce più deboli di adolescenti, di giovani e di persone esposte al rischio di emarginazione sociale e professionale. Negli stessi locali troviamo la sede della Cooperativa Dono, coperativa sociale che condivide e si ispira agli ideali del Piccolo Cottolengo, e l’Ostello Don Orione, sempre gestito dalla Cooperativa Dono.

Discorso all’inaugurazione della cappella del Piccolo Cottolengo di via Bartolomeo Bosco, 20 gennaio 1929

Quanto è mai buono il Signore! Un bel giorno ci fu chi mi disse che dovevamo partire da Quarto, dalla Casa di Quarto; ci fu anche chi mi disse: – Lei, martedì, potrà essere ricevuto dal capo del governo, che ha tutte le migliori ed ottime disposizioni per impedire che i poveri del Piccolo Cottolengo vengano via da Quarto. Io ringraziai quella persona – che si era adoperata, perché potessi essere ricevuto da Sua Eccellenza Mussolini – la ringraziai anche dell’interessamento, perché i nostri poveri non avessero da essere messi su di una strada; ma mi parve, in quel giorno, dopo che ebbi un po’ pregato, che quella non fosse la via del Signore e ringraziai dell’udienza promessa. Presi in mano la corona del santo rosario e mi rivolsi alla Madonna della Guardia, che è la Madonna dei genovesi, e dissi: – Vergine Santissima, voi che siete la Madre della Divina Provvidenza, voi che siete la Guardiana, la Celeste Guardiana di Genova e dei poveri del Piccolo Cottolengo – i poveri sono la pupilla degli occhi di Dio e sono il tesoro della Chiesa di Gesù Cristo – io non salirò certi scalini e non batterò certe porte, se non sentirò proprio che quella è la volontà di Dio… Dovendo camminare nell’umiltà, chiedo a voi, che siete la Madre di Gesù, di tutti gli umili, di tutti i poveri, che mi facciate sentire la volontà vostra e senza chiasso – perché lo spirito del Cottolengo non è spirito di chiasso – ci doniate una Casa, una Casa che possa bastare ai nostri poveri. Ed ecco, erano passati solo pochi giorni, che ricevetti una lettera del primo cittadino di Genova, del podestà di Genova, che ci chiedeva di venire via da Quarto un po’ prima, che il Municipio ci avrebbe dato una Casa a Portoria… Allora sentii che la Madonna, dall’alto del Monte Figogna, aveva già mandato un soffio al cuore delle anime buone ed aveva già disposto che trovassimo una Casa. Ed ecco che ci hanno dato una Casa di Divina Provvidenza senza pagare neppure un soldo di affitto; la Casa è stata ora ristabilita, così che lo stesso veneratissimo Arcivescovo, che era venuto prima, non la riconosceva più”.

Fonti

Archivio del Piccolo Cottolengo Genovese presente nella Casa di Paverano
Le Mani della Provvidenza, Opera Don Orione 2004, Genova
Don Luigi Orione e i Genovesi Raccontano, Quaderni del Chiostro 1998-n°16, Confraternita di S. Giovanni Battista De’ i Genovesi in Roma, pp. 9-10.
Piccola Opera Divina Provvidenza, La Casa di Via Bosco, Tipografia Emiliana Venezia 1948.