I nostri fratelli defunti e santi

Due liturgie collegate, la ricorrenza dei santi e quella dei defunti, con cui si apre il mese di Novembre.

Al centro c’è sempre la Resurrezione di Cristo. Il fondamento dello sguardo di fede verso i santi e verso i defunti è la Pasqua di morte e resurrezione del Signore e ciò riguarda anche la nostra morte e la nostra resurrezione. E’ la vittoria della vita sulla morte.

Prendendo su di sé la nostra morte ci ha liberati dalla morte e con la sua resurrezione ci ha aperto il passaggio alla vita immortale. Questo è lo straordinario destino che si manifesta davanti alla  esistenza  umana.

Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ricorda San Giovanni, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Promessa straordinaria, vedremo Dio faccia a faccia, lo vedremo nella sua essenza, quale egli è. Questo è il Paradiso, non un luogo ma uno stato di vita. Questa è la santità.

Ecco perché la festa di tutti i santi è una festa per tutti, perché riguarda tutti noi. Che ne sarebbe della nostra vita senza la prospettiva di un futuro bello che ci ripaga di tutte le tribolazioni  quaggiù? E’ questo futuro che rende significativo e prezioso il nostro presente, i nostri giorni, ogni istante.

Essere santi è partecipare alla santità stessa di Dio perché in realtà solo lui è santo: tu solo il Santo, tu solo l’Altissimo, tu solo il Signore. Chi ci fa santi non sono in primo luogo i nostri sforzi, ciò che facciamo noi, ma il bene che Dio ci vuole, perché lui ci ha scelti come suoi figli. Certo poi ci vuole la nostra corrispondenza ma l’essere santi è prima di tutto una risposta a un dono di Dio che è già in noi. Non possiamo dimenticarlo, noi diventiamo santi nel Battesimo. Poi c’è da percorrerla la via della santità, e non è facile. Ma è una via possibile e aperta a tutti. Una moltitudine immensa, di ogni parte della terra, di ogni condizione sociale. E proprio quelle condizioni di svantaggio, di sofferenza, di contrasto, che a noi sembrano impedire la santità, in realtà sono quelle che la favoriscono e la realizzano. Dio tiene conto di tutto.

“Chi sono quelli vestiti di bianco” chiede il vegliardo della grande visione apocalittica. Ed Egli stesso risponde: quelli che sono passati attraverso la grande tribolazione e sono rimasti fedeli. Al di là della persecuzione aperta e violenta che porta fino al martirio, cui si riferisce l’Apocalisse  parlando della persecuzione di Diocleziano, c’è anche quella lotta quotidiana che si affronta per essere fedeli alla propria scelta, alle proprie responsabilità, alla promessa fatta. La via della santità passa ancora oggi attraverso il sapere andare contro corrente quando necessario, anche contro l’opinione comune quando non corrisponde al Vangelo. Non a caso nella festa dei santi e dei defunti si legge la pagina delle Beatitudini. Significa vivere in semplicità di vita e sobrietà contro ogni tentazione di materialismo che porta a fare della ricchezza e del successo l’unico valore della vita. Significa vivere in mansuetudine e non violenza, significa impegno per la pace e sacrificio per la giustizia.

E tutto questo forse si realizza più che nel chiuso dei conventi nella vita quotidiana, nelle diverse situazioni familiari, negli ambienti di lavoro, a contatto con tutte le realtà.

Amare, diceva Monsignor Tonino Bello, è voce del verbo morire, perché amare significa decentrarsi, uscire da sé, dare senza chiedere. Ecco perché finalmente vengono proposti santi sempre più numerosi presi non dalla vita religiosa ma dalla vita laicale, padri e madri di famiglia, professionisti nei diversi campi, giovani impegnati nel sociale, anche nella politica. Per indicare a tutti  che la santità, senza fare cose straordinarie, è vivere la propria fede in Dio con consapevolezza, dando in ogni cosa il primato a Dio. Dicono i maestri spirituali che la santità non è fare cose straordinarie ma vivere straordinariamente le cose ordinarie.

Mi piace terminare con una frase dello scrittore Ferruccio Parazzoli che così descrive la gioia del Paradiso: Ogni tanto mi sorprendo a fantasticare sulla vita eterna e a immaginare come sarà…Immagino che l’uomo subito dopo la morte si incontri con Dio, e che entrambi si abbraccino scoppiando in una grande risata. Poiché tutti e due in quel momento scoprono che era così semplice e così bello e che hanno giocato bene il loro gioco e che questo gioco era degno di essere giocato.

Penso che ne valga proprio la pena fidarsi di Dio fino in fondo.