Insieme a casa della mamma

Otto giugno, giorno che si preannuncia soleggiato quasi ad illuminare la visita che il Piccolo Cottolengo genovese ha programmato coinvolgendo le varie sedi dalle quali sono scaturite duecento persone in rappresentanza propria e di quanti non hanno potuto aggregarsi per svariati motivi, tra cui una particolare attenzione per garantire il buon funzionamento del servizio verso gli ospiti rimasti nelle rispettive strutture. Per confermare il tradizionale mugugno nostrano i poveri autisti aprivano e chiudevano l’aria condizionata nell’inutile tentativo d’accontentare tutti. Per fortuna la leggera nebbiolina in attesa sul versante ligure si è trasformata ben presto in una densa nuvolaglia contribuendo a stabilire uniformità di richieste e favorendo in qualche modo la specificità dei conducenti (guidare i mezzi e condurci a destinazione), con una piccola eccezione…

Oltre Voghera c’è un paesetto d’un migliaio d’anime: si chiama Corvino San Quirico. Noi eravamo diretti ad una sua frazione, Fumo, ormai inglobata a causa di ulteriori costruzioni e per il contributo offerto dal santuario dedicato alla Madonna di Caravaggio e dalla cornice chiaramente orionina rappresentata dall’asilo e dalla casa di riposo per anziani. Di tendenze solitarie, una volta scesi senza incidenti i passeggeri dalle corriere, mi sono eclissato nella piccola, elegante struttura per goderne in silenzio le interessanti migliorie artistiche, rispettose dell’odore stagionato dove si è vissuto in altri tempi o dove hanno dimorato persone amate. È una casa della Madonna, colei che ha accettato, ai piedi della croce, d’esser madre nostra per continuare a riproporci il Figlio. Le dimensioni ridotte della cripta, rivista con calma, non giustificano la quasi totale assenza d’altri nella sovrastante struttura. Solo quattro ospiti in un angolo recitano col loro assistente una preghiera.

Esco. Cos’è successo? Non so se per dimostrare che quelli di Fumo non producono fumo, avevano organizzato un bel rinfresco all’aria aperta con ogni ben di Dio. Ho sentito qualcuno elencare le cose ingurgitate ed altre in procinto d’esserlo. Sazio, son tornato indietro ad avvertire i “distratti” di prima, però… si erano già serviti. Tornato in società mi si avvicina Don Giorgio; mostra di saper diverse cose sul mio conto. È di una affabilità squisita che non deriva dalla comune terra natia. Comincia a parlarmi in dialetto, per allenarsi, mentre io mi difendo col breve e raro utilizzo dello stesso, quasi a proteggere la memoria in riserva. Non ci conoscevamo, ma era netta l’impressione di condividere assai più di quanto capita con persone che incontri tutti i giorni. Mi chiede anche di fargli pervenire il nostro bollettino e questo, se possibile, me ne amplifica la simpatia. Presiede la celebrazione il nostro Direttore Provinciale, Don Aurelio Fusi. È un momento intenso, familiare, animato dal nostro coro, nonostante qualche sbavatura o interferenza. Il celebrante si è divertito a stuzzicare e diverse ospiti hanno tentato di usurpargli il posto… Il canonico Arturo Perduca e San Luigi Orione gioivano d’esserci accanto quasi fossimo parte realizzata del loro sogno.

Il trasferimento seguente, agevolato dal fatto che andare verso Tortona significava pranzare, è stato veloce. Un altro tizio, chissà se contagiato dalle ospiti dell’omelia, nel vedere il Direttore Provinciale sulla propria corriera, si è espresso inadeguatamente con un “ma lei è un intruso, qui” suggerendo all’interpellato una valutazione, conclusa dopo breve calcolo di convenienza con un “sì”. Ci è piaciuto, sa dare il giusto peso alle parole altrui e leggerne lo spirito. Il tempo intanto ha risvegliato il sole, come già preconizzato da Don Giorgio. Il pranzo, ben curato, ha interessato soprattutto gli ospiti, poiché gli altri si concedevano alla distrazione generata dalle tante conoscenze d’altri tempi ed occasioni. Dialoghi veloci, di sostanza, come si usa in famiglia quando qualcuno manifesta un problema. Spesso non riesci a capire se ti procura più gioia l’aver rivisto un vecchio amico o il fatto che t’abbia confessato un proprio disagio. Su tutte le attrazioni, comunque, le tre suore invitate, già ex di Paverano (Eusebia, Luigina, Maria). Sulle prime due sono testimone oculare e di tavola; pur essendo buone forchette hanno preso soprattutto baci, abbracci, condendo il tutto con discorsi infiniti. Per Suor Maria dovrete chiedere a Rosetta, che l’aveva requisita, quando vi capiterà d’incontrarla.

La digestione poteva esser condita in vari modi: al bar, con la visita al presepio permanente o una solitaria al Santuario; per i più arditi la scalata al campanile per raggiungere l’immagine dorata della Madonna confezionata con il rame raccolto da Don Orione fra la gente del luogo. Naturalmente la cripta, che pare destinata a diventare parrocchia, e le tombe ivi contenute di gente di nostra lunga conoscenza, come Don Germano Corona. Usciti, alzando gli occhi al cielo, si nota la mancanza di una serie di mattoni su un tratto del campanile. Dicono siano cadute qualche giorno prima. Per fortuna non hanno colpito nessuno. A parlar di miracoli bisogna andarci cauti. Non credo si facciano coi mattoni. Il miracolo è nel rosario recitato insieme, in quell’angolo di mondo dove non esiste più differenza di condizione e ci si sente davvero fratelli. Ecco perché siamo qui: perché è la casa di ”nostra” Madre dove siamo sempre attesi ed amati e dove gli immancabili piccoli screzi s’acquetano  lungo il percorso del sole illuso già d’essere estivo.

Anch’io sono stanco e felice, nonostante mi tocchi, dopo il rientro, tornare alla stazione ferroviaria. E’ un pensiero espresso in confidenza all’autista della nostra corriera che, in precedenza, aveva detto di preferire i pellegrinaggi alle gite in quanto più rasserenanti. Infatti, quasi a dimostrarlo, offre di accompagnarmi e, ovviamente, quanti erano a portata di voce non hanno potuto far a meno di chiedere e… ottenere ulteriori passaggi personalizzati, senza suscitare rimostranze.

Date le dimensioni si potrebbe pensare il Santuario della Guardia in Tortona sia la prima casa e quello di Fumo la residenza estiva. Ma di questi centri d’accoglienza è pieno il mondo ed è ingiusto dare preminenza all’uno piuttosto che all’altro. Suggeriscono tutti la stessa presenza solerte d’una madre impegnata ad indicare il cielo. È sua premura ricordarcelo quantunque, a ben guardare, non abbia bisogno di luoghi specifici. E forse noi la siamo venuti a cercare ben attrezzati, complice la quotidianità e l’elemento umano che pervade il nostro servizio verso i meno fortunati. Chissà con quali occhi ci vede Gesù nella sua divinità; con la stessa tenue intensità con cui lo riscopriamo in quelli chiamati “ospiti”, ma in effetti “padroni” come ripeteva spesso Don Orione. I luoghi aiutano, certo, ma sono i cuori a creare e approfondire un rapporto d’amore.