Un’alleanza per il bene

 Don Orione e Domenico Isola, il santo e il dottore: fede e scienza al servizio dell’uomo

Il 18 maggio del 1962 moriva il Professor Domenico Isola, neuropsichiatra genovese e direttore sanitario del Piccolo Cottolengo dal 1933 fino al suo ultimo giorno di vita. In quasi 30 anni di appassionato lavoro al servizio dei più fragili, Domenico Isola –uomo di immensa fede e grande scienziato– fu capace non solo di comprendere il valore della missione e delle opere di Don Orione, ma seppe esserne vero e proprio punto di riferimento nel compimento di una tra le sue più importanti e ambiziose realizzazioni: il Paverano. Nel suo libro “Dopo le nubi, il sole” edito da San Paolo, Giuliana Arena, pronipote di Isola, ripercorre episodi di vita quotidiana, aneddoti, corrispondenze e testimonianze, e ci accompagna in un viaggio avvincente alla scoperta del rapporto umano, professionale e di Fede tra queste due straordinarie personalità.

 D: Lei è la pronipote del Professor Isola, ma non è solo il suo legame famigliare ad averla spinta a raccontare la storia di questi due uomini straordinari. Come ha deciso di scrivere un libro su Domenico Isola e Don Orione?

R: Questo libro nasce dall’incontro con la realtà della casa orionina di Bucarest e con Don Valeriano Giacomelli che, quando sono arrivata in Romania, ne era il direttore. Certo, sapevo che il mio bisnonno Domenico Isola aveva avuto un ruolo importante nella nascita del Piccolo Cottolengo di Genova, ma non mi ero mai fermata a ricostruire la sua storia, il suo percorso umano e professionale e il suo rapporto con Don Orione. Quando ho toccato con mano la realtà straordinaria e l’impegno dell’Opera per i bambini e i ragazzi fragili, ho sentito l’esigenza di andare alle origini di questa storia, a Genova, quando il mio bisnonno ha avuto la grande fortuna di essere chiamato da Don Orione. In fondo questo libro è anche un invito a prestare attenzione agli incontri importanti della vita, che, in un attimo, possono farci cambiare prospettiva.

D: Siamo nel settembre del 1933, Domenico Isola è nel suo studio di Genova in Piazza Alimonda e…

R: E si presenta Enrico Sciaccaluga, inviato da Don Orione con la proposta forse un po’ folle di dedicarsi alla nuova opera per il ricovero e l’assistenza delle “inferme di mente” come direttore sanitario. Ho voluto iniziare il racconto da questo episodio perché è il momento in cui tutto è cominciato: Domenico Isola, che ancora non conosceva personalmente Don Orione, ha subito detto di sì con slancio, anche se le condizioni in cui versava il grande edificio che Don Orione era sul punto di rilevare dall’Amministrazione Provinciale di Genova erano di grande degrado, tanto che sembrava impossibile immaginare di poterci svolgere un’attività medica e di accoglienza. Quel giorno del settembre 1933 è diventato uno spartiacque nella vita di Isola: da allora niente sarebbe più stato come prima per lui. Inizia in quell’istante una grande avventura umana, professionale e di fede, che ha messo allora radici per arrivare fino a oggi, in tante parti del mondo. Un momento, quello della chiamata di Don Orione a Domenico Isola, che ha cambiato il corso di tante cose.

D: Quando accetta la proposta di Don Orione di diventare direttore sanitario di quella che sarebbe stata la sede del Piccolo Cottolengo Genovese, il Paverano, il suo bisnonno è un neuropsichiatra di successo e un professore universitario apprezzato. Chi è l’uomo Domenico Isola, l’uomo che ormai cinquantenne decide di iniziare una nuova vita?

R: Per cercare di capire davvero l’uomo Domenico Isola sono risalita alle origini: suo nonno medico, i suoi genitori, i suoi fratelli. Penso che l’uomo che Enrico Sciaccaluga si è trovato davanti quel giorno fosse un uomo in parte soddisfatto della sua vita: la professione medica, l’insegnamento universitario, la moglie Angela e la figlia Giuseppina… ma era anche un uomo che portava dentro di sé ancora un senso di incompiutezza, un uomo a cui mancava qualcosa. Era stato cresciuto nella fede fin da bambino, ma gli anni terribili della guerra, con la morte dell’amatissimo fratello Dino, lo avevano segnato profondamente, facendo vacillare quella stessa fede e lasciandogli un profondo senso di irrisolto, tante domande aperte sul senso profondo da dare alla propria esistenza. Era un irrequieto, Domenico: tanta energia e tanta voglia di fare sempre di più che aspettavano la strada giusta da percorrere… Credo che non si sarebbe mai realizzato pienamente senza l’incontro con Don Orione. Penso che sia un messaggio molto importante questo: si è portati a pensare che a cinquant’anni la nostra vita sia ormai incanalata in una direzione, non importa quanto soddisfacente. Invece, come dimostra questa storia, tutto può cambiare in un attimo, tutto può riempirsi di nuovi significati se si è attenti alle possibilità che la Provvidenza ci mette davanti, anche quando magari ci sembra ormai impossibile.

D: Lei definisce il legame tra Don Orione e il suo bisnonno una vera e propria alleanza per il bene. Che cosa vuole dire?

R: Quello che trovo davvero straordinario del rapporto tra Domenico Isola e Don Orione è la sua declinazione “pratica”. Certo, alla base c’è la fede, ma la fede diventa strumento di azione, di intervento nella società. Credo che il loro legame e la loro affinità si basassero proprio sul desiderio di incidere profondamente nella realtà, di portare un cambiamento concreto. Si vede anche dalle lettere che si scambiavano: tenerezza, stima reciproca, e poi tanti aspetti pratici, il desiderio di “costruire”, di migliorare la struttura e la qualità dell’assistenza, la continua ricerca di nuovi progetti, di nuovi sogni da realizzare.

D: Quello dell’incontro con Don Orione, dice proprio Domenico Isola, è stato il giorno più fortunato della sua vita. Chi è Don Orione per Domenico Isola?

R: Don Orione è per Domenico Isola un grande maestro, un padre, il faro che lo ha condotto a ravvivare una fede che probabilmente quando si sono incontrati era un po’ sopita e a realizzarsi pienamente professionalmente e umanamente.

D: Lei descrive il suo bisnonno come un medico paterno e affettuoso con i più fragili, ma anche un professionista severo e intransigente; un equilibrio tra carità e scienza che ha permesso anche in anni difficili di raggiungere altissimi livelli di formazione e assistenza…

R: In una delle sue lettere Don Orione parla, riferendosi all’attività di Isola, di “apostolato di intelligente bontà”. La tenerezza nei confronti delle bambine che assisteva era grande, nello stesso tempo Domenico Isola aveva un carattere forte, inflessibile e appunto, intransigente. L’intransigenza morale sorretta dalla fede, l’utilizzo della scienza al servizio della carità, l’idea che lo spirito di carità di chi assiste debba essere accompagnato da una solida preparazione professionale, la capacità di coinvolgere nei suoi progetti come benefattori figure di primo piano della società genovese, la vivacità intellettuale, lo spirito inarrendevole e determinato, accompagnato da una certa dose di ironia, sono state le caratteristiche di Isola che hanno permesso al Piccolo Cottolengo di raggiungere risultati importanti nell’assistenza.

D: “Noi combattiamo facendo il bene” dice Domenico Isola nel 1915 ai suoi colleghi quando si arruola volontario come medico di guerra. La sua è una vera e propria vocazione…

R: Domenico Isola durante la prima guerra mondiale si rifiutava di tenere con sé la pistola d’ordinanza perché vedeva nella professione medica lo scopo del servizio alla vita. E già allora si rendeva profondamente conto di come l’amore potesse diventare una “spada di guerra”, come avrebbe poi detto Don Sterpi, al quale Domenico dedicherà uno dei suoi scritti con questo titolo. Nello stesso tempo la guerra, con la brutalità, la distruzione e la morte che porta con sé, fu per lui un momento di profonda crisi, anche nella fede.

D: Negli anni il Professor Isola e Don Orione si sono scritti moltissimo. Per raccontarsi cosa?

R: Isola e Don Orione si sono scambiati molte lunghe lettere, anche perché Don Orione negli anni Trenta era impegnato per lunghi periodi in Sud America e quindi era tenuto al corrente del progetto genovese proprio grazie alle lettere di Isola. Nelle lettere Isola condivideva con Don Orione gli eventi della propria vita privata, come il matrimonio della figlia o la nascita del primo nipotino. Don Orione gli rispondeva sempre affettuosamente, chiamandolo “caro Professore e Amico” e addirittura “fratello dolcissimo”. Gran parte delle lettere era però dedicata a lunghe relazioni sugli aspetti pratici del progetto del Paverano. Domenico Isola non si occupava solo dell’assistenza medica, ma seguiva nei minimi particolari tutto ciò che riguardava prima l’avvio e poi la gestione della struttura, a partire dalla completa ristrutturazione del vecchio e fatiscente edificio che Don Orione aveva rilevato per dare vita al suo progetto, fino all’acquisto di nuove apparecchiature, alla ricerca di benefattori o alla formazione del personale.

D: Dalle pagine del libro spicca tra le altre la figura della sua bisnonna Angela, moglie di Domenico. Che ruolo ha Angela nella vita di Domenico?

R: Angela è stata centrale nella vita di Domenico, che era molto impegnato con il Cottolengo e non sempre poteva dedicare alla famiglia il suo tempo. Il paziente sostegno e l’amore di Angela non gli è mai mancato ed è stato anzi parte integrante del successo di quella che lui sentiva come una missione. Angela diede a quella missione il suo contributo, tanto è vero che nel testamento spirituale Domenico la ricorda così: “visse servendoci tutti in uno spirito di rinuncia e di abnegazione veramente esemplare”.

D: Proprio dopo la morte di sua moglie Angela, nel 1959, Domenico Isola senza esitazioni decide di fare del Paverano la sua casa e di trasferirsi lì insieme ai suoi malati…

R: Senza Angela la tanto amata casa di Vernazzola era probabilmente troppo vuota e Domenico non poteva immaginare posto migliore del Paverano per trascorrere gli ultimi anni della propria vita, fino all’ultimo istante al servizio dei suoi assistiti. Al Paverano aveva trascorso tanto tempo anche durante la guerra per un anno dall’aprile del 1942 con Angela e il nipotino Mingo, contribuendo a portare in salvo le ricoverate quando il Paverano venne bombardato nel novembre di quell’anno. Quindi il Paverano era già stato “casa” per lui e anche per Angela in circostanze drammatiche.

D: Dopo le nubi, il sole?

R: Questo è il titolo che Domenico Isola ha dato a uno dei suoi scritti (anche se lui ha utilizzato il latino Post nubila phoebus) e mi è sembrato bello e significativo utilizzarlo come titolo per questo libro. Dopo tante difficoltà, dopo le terribili vicende che hanno segnato il mondo nella prima metà del Novecento, travolgendo la vita sua e della sua famiglia, Domenico ha visto spuntare il sole: una stagione nuova, la possibilità di dare alla propria esistenza un senso profondo. La sua storia ci dice però che per vederlo affacciarsi tra le nuvole, quel sole, è necessario saper ascoltare e accogliere la chiamata e la voce giusta e poi spendersi instancabilmente e impegnarsi per tenerlo vivo e luminoso. Se il punto di incontro tra la nostra storia individuale e la Storia generale è illuminato dalla fede e dalla fiducia nella Provvidenza, possiamo davvero fare, nel nostro piccolo, la differenza. Un messaggio di speranza del quale oggi abbiamo più bisogno che mai.

A cura di Irene de Vitti
Responsabile Raccolta Fondi e Comunicazione

Giuliana Arena vive a Bucarest, in Romania, con il marito e i due figli. Fino al 2018 ha vissuto a Milano, dove ha collaborato per diversi anni con l’Università degli Studi, svolgendo ricerca storica e pubblicando, tra le altre cose, una monografia (Franco Angeli, 2011). Altri suoi libri sono: Mamme no panic (Sperling&Kupfer, 2015), con la psicoterapeuta Francesca Santarelli, e, con San Paolo, Il nido di vetro, una piccola storia d’amore, 2019.

Dopo le nubi, il sole
Giuliana Arena
San Paolo Edizioni
Euro 16,00