Venite a me e riposatevi. Il mio gioco è soave, il mio peso leggero

Forse alla ripresa di un nuovo anno di lavoro abbiamo proprio bisogno di una parola di incoraggiamento da parte di qualcuno che ci capisca e condivida con noi la fatica.

Trovo una espressione di Gesù, rivolta ai suoi discepoli in un momento particolare di stanchezza e scoraggiamento, che può aiutare anche a noi.

Scrive l’evangelista Matteo: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi darò completo riposo. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me, perché sono dolce e umile di cuore; e troverete la pace per le anime vostre; perché il mio giogo è soave e il mio peso leggero.

Giogo soave, peso leggero: termini opposti e contradditori che sembrano annullarsi a vicenda. In italiano è una figura letteraria retorica che si chiama ossimoro.

Eppure tutta la rivelazione cristiana è così: noi parliamo di Dio-Uomo, parliamo di un morto-vivente, di un crocifisso-risorto, e anche nella prassi cristiana siamo invitati a sperare contro ogni speranza o ad amare anche il non amabile o il nemico.

Gesù parla di giogo soave e peso leggero. Nella tradizione giudaica l’immagine del giogo rinviava ai precetti e comandi di Dio, alle loro esigenze che vanno messe in pratica.

Qui nel vangelo invece si riferisce alla persona stessa di Gesù, fa riferimento ad una relazione personale con lui, ad un rapporto di amore. E noi sappiamo molto bene allora che chi ama, fa con gioia la volontà dell’amato. In questo senso San Giovanni dice che i comandamenti di Dio non sono gravosi, e che tutti i comandamenti alla fine si condensano in uno solo: il comandamento dell’amore.

Certo che l’amore non può essere comandato, una terza persona non può prescrivere l’amore, ma l’amante sì, l’amante può dire all’amato: amami, solo l’amante può chiedere amore.

E quando questo rapporto di amore è così interiorizzato da divenire principio attivo di vita, allora nulla è gravoso, anche i sacrifici più grandi per la persona amata sono sempre leggeri.

E’ quello stesso rapporto di amore che Gesù rivendica per se nei confronti del Padre, un amore che diventa conoscenza reciproca, immedesimazione.

E allora la domanda è: chi può capire tutto questo?

Solo i puri, i piccoli, i semplici dice Gesù, non i sapienti e i dotti di questo mondo. Ti benedico o Padre perché hai rivelato i misteri del regno di Dio non ai sapienti ma ai piccoli e poveri.

Gesù lo constata tutti i giorni: a seguirlo sono le folle delle persone più comuni, chi è senza potere e influenza, chi deve faticare ogni giorno per vivere, i poveri, gli oppressi dall’ingiustizia umana, non i dottori della legge, i capi, gli Scribi e Farisei, le persone che allora contavano.

E così è sempre in ogni tempo. A capire la fede, la gioia di essere credenti non sono in genere i cosiddetti intellettuali, quelli che pontificano ogni giorno dalla stampa o dalla Tv, che ritengono umiliante abbassarsi a credere in Dio, ma chi con umiltà, rientrando nel profondo di sé, capisce che la vita non ha, non può avere una spiegazione in se stessa o nel caso, ma rimanda ad una volontà ed a un amore più alto, cui non sfugge la nostra sorte.

E allora, lasciando entrare Dio nella propria vita, la vita acquista tutta un’altra visione e lettura, anche se la fatica rimane, e le preoccupazioni rimangono.

Possiamo sperimentare ogni giorno che la leggerezza del giogo o la fatica del bene e della fedeltà, è una reinterpretazione della sua pesantezza, dipende cioè dall’angolo di visione in cui ci poniamo.

Tutti siamo alla ricerca di una vita leggera. Che cosa è una vita leggera?  Ecco il contrasto tra sapienti secondo Dio e sapienti di questo mondo.

Molti giudicano una vita leggera quella spregiudicata, che non pone problemi, non costringe a rinunce, che vuole tutto, subito, senza sforzo, che non si lascia ingabbiare da scelte forti e durature ma si accontenta di vivere alla giornata, secondo voglia o sentimento del momento. Ne abbiamo un esempio nella attuale crisi del matrimonio e anche della vita religiosa e sacerdotale.

Ma noi sappiamo che la vita non è fatta così, e che senza sforzo, dedizione, sacrificio, non si danno neanche grandi realizzazioni umane oltre che spirituali, e sappiamo che anche l’amore si declina sempre con pazienza, attesa, perdono, coraggio, silenzio, sofferenza. L’amore è sempre qualcosa di molto grande e bello, ma che tante volte fa soffrire.

Senza un punto di riferimento sicuro, senza una motivazione grande, ad un certo punto non si regge o si cade nella superficialità e ci si arrende, e si fanno le cose stancamente.

Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò riposo, dice Gesù. Prendete il mio giogo, legatevi a me, condividete con me il giogo. I contadini in anni addietro erano abituati a legare insieme ad un giogo due animali perché trainassero insieme l’unico carro o aratro. Se siamo legati a lui, la fatica la fa lui, e per noi è molto più facile tirare il carro della vita perché abbiamo la sua forza. Legati a lui possiamo davvero riposare, perché la maggior parte del peso è su di lui.

Quando alla sera la coscienza ci dice di aver fatto del nostro meglio, in famiglia, nel lavoro, nella vita, anche se i risultati non fossero molto appariscenti, allora è bello pensare a queste parole di Gesù: venite a me e riposatevi. È quella pace e serenità interiore che derivano dalla consapevolezza che la nostra vita è nelle sue mani comunque vada.  E tutto allora diventa prezioso, e quindi anche leggero.

d.g.m.