L’importanza di saper cambiare

Continua la riflessione del Professor Ezio Fulcheri1  che parte dal progetto della Casa di Accoglienza di Quezzi, per estendersi al periodo attuale in cui si delinea una vera e propria crisi del volontariato, bloccato ed interdetto in questo tempo di pandemia.

I volontari sono invitati a compiere un percorso in cui acuire i propri sensi nel cercare nuove vie ed intuire nuovi bisogni, propendendo sempre verso un’operatività altruistica.

Tredici anni fa iniziava con le Suore Piccole Missionarie della Carità un progetto meraviglioso a sostegno e tutela della vita nascente: L’Abbraccio di Don Orione2.[1] Per tanti anni abbiamo visto il concorso di sostenitori, benefattori, volontari ed amici adoperarsi per sostenere questo progetto, collaborare e lavorare. Andare a Quezzi ed incontrarci è stato il motore indispensabile per conoscerci e farci conoscere.

Ricordo con piacere ed un poco di nostalgia la nostra iniziativa de “Un té a palazzo” un modo semplice per trovarci in Via del Palazzo quando erano iniziati i lavori di ristrutturazione dell’edificio che ora è denominiamo “Casa di Accoglienza del Neonato”. Alcune signore preparavano i dolci ed una torta, le suore una tazza di tè e, ritrovandoci e vedendo il lavoro che proseguiva, tutti si sentivano coinvolti. Nacquero così i gruppi di volontari, i gruppi di professionisti a sostegno del nuovo progetto: farmacisti, neonatologi e psicologi, ciascuno per propria competenza portava un contributo e si sentiva, ed era, parte viva ed attiva.

In questo modo, assieme, abbiamo iniziato quella splendida avventura, innovativa e propositiva che oggi è nota a tutti e rappresenta un punto di eccellenza nel panorama della città e della nostra Regione.

A Quezzi negli ultimi mesi sono cambiate alcune cose in modo significativo.

Le suore, colpite duramente con perdite umane non indifferenti, hanno dovuto temporaneamente ritirarsi dalla Casa Madonna della Salute.

I volontari de L’Abbraccio di Don Orione hanno dovuto interrompere la loro attività in presenza per rispettare le ferree norme di contenimento della pandemia.

La Casa di Accoglienza ha dovuto essere adeguata, seppur con interventi strutturali di minima, alle nuove norme per ottenere l’accreditamento funzionale. La richiesta di inserimento ha visto dilatare la fascia di età dei potenziali Bambini ampliandola da 0-8 mesi a 0-36 al fine di evitare allontanamenti ed interruzioni dei programmi educativi allo scadere dell’ottavo mese quando le procedure o le condizioni famigliari impongono permanenze articolate e soggiorni più prolungati.

È stato necessario interrompere i lavori per l’adeguamento strutturale del secondo polo della casa di accoglienza.

È stato necessario strutturare un settore della casa Madonna della Salute (parte antica e storica del complesso) per allestire un secondo braccio della Casa di Accoglienza del neonato, lontano dal primo nucleo, per accogliere soggetti COVID-19 positivi o isolare soggetti che eventualmente in struttura fossero stati riscontrati positivi.

È stato inevitabile ridurre al massimo l’attività dell’“Abbraccetto” nell’impossibilità di garantire i flussi di afferenza del materiale e conseguentemente la fase di distribuzione.

Quante cose in nove mesi… il tempo di una gravidanza. Come i nove mesi di una gestazione, tutto ciò deve necessariamente trovare la nascita di un nuovo modus operandi, uscire da schemi che non possono più essere attuali nè proponibili. Il rinnovamento è stato imposto prima che dalle istituzioni o da nostra libere scelta, dagli eventi e dalle contingenze legate alla pandemia.

Tutti noi, ed in primo luogo le educatrici, ci siamo adoperati per garantire non solo un servizio di eccellenza, come sempre è stato, ma per seguire, guidare ed indirizzare questi cambiamenti.

L’Abbraccio di Don Orione, con le Piccole suore Missionarie della Carità, sin dall’inizio, quando venne delineato il progetto di aiuto alla vita nascente, è stato sempre caratterizzato da uno spirito di rinnovamento, da novità nella gestione e nell’approccio educativo dei neonati. Queste novità ci hanno fatto sentire e valutare come unici, originali e speciali. Attorno a noi si sono aggregate tante persone che hanno letto ed avvertito questo spirito di novità. La novità è stato il motore che ha fatto aggregare tante persone ed è stato fatto tanto lavoro, diretto o indiretto, di promozione ed attività di sostegno.

Questo spirito di novità deve ancor oggi, e più di un tempo, animare e sostenere questo splendido progetto; rinnovarsi, cambiare per essere non solo adeguati ma motore trainante in una società che sta cambiando non solo nello stile di vita ma, e soprattutto, nelle necessità e nei bisogni essenziali.

Se ripercorriamo con la mente il lavoro dei volontari restiamo oggi spaesati e quasi storditi. La loro opera è stata interrotta dodici mesi fa. Nessuno ha più potuto avvicinare i piccoli ospiti, nessuno ha più potuto entrare in struttura o avvicinarsi alla Casa. Le norme giustamente restrittive hanno congelato il loro operato. Come per la Casa di Quezzi anche tanti altri volontari in altre tante opere della costellazione Don Orione sono stati bloccati, “lasciati a casa”; per loro è stata una sofferenza, è stata una sofferenza pensare a quanto lavoro, e tanto più in questi frangenti, ci sarebbe stato da fare; quanto vuoto hanno lasciato e quante soavi abitudini hanno troncato per coloro cui offrivano tenerezza, sostegno ed aiuto; quanta nostalgia.

Non abbiamo timore di asserire che si è delineata una vera e propria crisi del volontariato, bloccato ed interdetto.

Mi sovviene allora di riflettere ricordando la vecchia moneta bimetallica da cinquecento lire che andò fuori corso nel 2001. Sul bordo della moneta erano impressi una serie apparentemente disordinata di puntini rilevati. Si trattava del codice Braille per i non vedenti. Ognuno di noi con il tatto poteva appena avvertire questi puntini, ammesso che avesse fatto caso e si fosse accorto della loro presenza. Un non vedente, al contrario toccava e con i sensi acuiti del tatto era in grado di leggere e capirne il valore.

La lezione è facile da imparare: si tratta di acuire i sensi, di cercare circuiti alternativi.

I volontari e gli operatori dei servizi sussidiari devono compiere un percorso simile; devono acuire i propri sensi nel cercare vie nuove ed avvertire, intuire, saper leggere nuovi bisogni o antiche esigenze che non eravamo più abituati ad avvertire. Tutto ciò per percepire la Casa dell’Abbraccio ed i sui valori senza poterla vedere e senza frequentarla.

Due ricette dunque per i sostenitori, amici e volontari delle nostre Opere.

La prima, acuire i sensi: diventare attenti e pronti a cambiare, inventare nuove vie e nuove operatività adeguate a nuovi bisogni

La seconda, non silenziare il cuore: mantenere vivi i rapporti, mantenere vivo lo spirito di amicizia. Il Cardinale Giuseppe Siri in un’omelia in cattedrale ricordò che “…non siamo angeli, non siamo puro spirito, abbiamo bisogno anche di cose materiali per vivere la fede e dimostrare che la stiamo vivendo”. È necessario concentrarci sull’importanza dei gesti, della parola e degli atti: i gesti della quotidianità.

Se vengono a mancare i gesti, se manca lo stile di vita affettuoso, il comportamento sociale, l’incontro, il saluto, lo scambio di un sorriso, tutto si ferma. È imperativo non silenziare il cuore, come imperativo è cercare nuovi modi per comunicare, per stare vicino anche con quelle piccole cose che una volta davamo per scontate, piccole ed irrilevanti tanto da non accorgercene.

Nell’ultimo anno la pandemia ha posto prepotentemente al centro della nostra attenzione la paura del contagio e della morte. Mai la nostra vita è stata pervasa da questi sentimenti e focalizzata sul tema della malattia, del contagio, della paura di ammalarsi e di morire. La pandemia è stata considerata come evento dominante e la medicina come strumento agognato di guarigione. Ciascuno di noi ogni giorno è stato attento alle curve di crescita del contagio, è diventato esperto di virologia (o vittima di informazioni contrastanti), ciascuno ha focalizzato la propria attenzione ai notiziari che raccontavano le vie e gli sviluppi della pandemia.

Poco tempo prima dello scoppiare del Covid-19 si riteneva che la medicina potesse tutto fare e tutto guarire: il potere enorme della scienza sembrava sfiorare l’onnipotenza tanto da poter regalare all’uomo non solo la salute ma il benessere, la bellezza, la giovinezza contro il tempo e l’età. Questo mito, sviluppato e creato nel corso degli ultimi decenni, anche a fronte di poderosi interessi sostenuti dai media, è stato infranto in pochi mesi mettendo a nudo tutta l’impotenza della scienza e la fragilità dell’uomo.

Tutto questo stato di cose, assieme alle mutate norme comportamentali, ha portato inevitabilmente a rivolgere l’attenzione più su noi stessi che verso gli altri, quegli altri, spesso gli ultimi o i più fragili, che sono stati invece sempre oggetto di grande attenzione, seguiti e accuditi.

Dunque tutto ciò delinea un terzo motivo di riflessione che porta inevitabilmente ad individuare la terza ricetta, vale a dire quella dell’operatività altruistica.  Abbiano visto esempi encomiabili e splendidi di dedizione al lavoro da parte di medici, infermieri ed operatori sanitari; ci siamo commossi difronte alle loro storie, storie troppo presto dimenticate perché entrate a far parte della quotidianità. L’emergenza quando dura troppo tempo perde i connotati di evento acuto e dirompente per scivolare gradualmente nell’abitudine e nell’accettazione dei fatti: la fatica degli infermieri, le sale di rianimazione e di terapia intensiva, non fanno più notizia. Si deve fare così ed il nostro cuore è silenziato.

Il Papa, nell’omelia nella solennità di Maria Madre di Dio, conclude “Va chiesta la grazia di trovare tempo per Dio e per il prossimo: per chi è solo, per chi soffre, per chi ha bisogno di ascolto e cura. Se troveremo tempo da regalare, saremo stupiti e felici, come i pastori. La Madonna, che ha portato Dio nel tempo, ci aiuti a donare il nostro tempo.” L’oggi ci pone la sfida di farlo in maniera alternativa.

Credo che questo sia il modo migliore anche per noi per concludere questa riflessione e fare gli auguri ai tanti amici, soci e volontari che operano nelle Opere Orionine di carità e sussidiarietà ed in particolare in quel meraviglioso progetto a sostegno e tutela della vita nascente che è “L’Abbraccio di Don Orione”.

Ezio Fulcheri

 

[1]  Il Professor Ezio Fulcheri è Professore Associato di Anatomia e Istologia Patologica presso L’Università degli Studi di Genova; è inoltre Presidente dell’Associazione “L’Abbraccio di Don Orione”.

2 L’Associazione L’Abbraccio di Don Orione ONLUS (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale), fondata il 18 dicembre 2006,  nasce dall’esigenza di prevedere e provvedere all’ istituzione di una casa di accoglienza per neonati, che si possa affiancare alle strutture già esistenti sul territorio per fare fronte all’ incremento delle necessità e delle richieste.