Il Papa apre la Porta Santa: è il Giubileo della tenerezza di Dio
Papa Francesco ha solennemente inaugurato l’Anno Santo straordinario della Misericordia aprendo e varcando, poco dopo le 11, la Porta Santa della Basilica vaticana, dopo aver presieduto poco prima in Piazza San Pietro, di fronte a 70 mila persone, la Messa nel giorno della Solennità dell’Immacolata. In un tweet, Francesco ha condensato il suo auspicio per l’Anno Santo: “Che il Giubileo della Misericordia porti a tutti la bontà e la tenerezza di Dio!”.
Un uomo con un abito color oro cupo – in precedenza verde, evoluzione di un’umanità che sta per essere redenta – trasportato sulle spalle da Cristo vestito di un bianco candido quasi accecante, i visi di entrambi che aderiscono in un gesto di così intima unità che l’occhio destro del Cristo e l’occhio sinistro dell’uomo sono la stessa cosa. La tenerezza fatta immagine sacra, la compassione divina condensata in una intuizione grafica.
Apritemi le porte della giustizia
È sotto questa immagine del buon samaritano, il “testimonial” dei prossimi dodici mesi giubilari, che Papa Francesco passa due volte, quando alle 9.30 esce sul sagrato della Basilica vaticana e poi poco dopo le 11, quando vi rientra per compiere il gesto che tutto il mondo attende, le mani poggiate a premere sul bronzo della grande Porta Santa – anche se il privilegio della prima apertura lo ha già riservato al cuore dell’Africa, al legno di una Porta meno maestosa ma per il Papa delle periferie non meno sacra:
“O Dio che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il persone, donaci di vivere un anno di grazia, tempo propizio per amare te e i fratelli nella gioia del Vangelo (…) Apritemi le porte della giustizia…”
L’apertura della Porta Santa
Alle 11.11 i battenti si schiudono e la sagoma in controluce a braccia spalancate di Francesco ripresa in mondovisione “buca” la penombra nella quale è immersa la Basilica. Alle sue spalle, distanziato leggermente sulla destra, staziona a mani giunte il Papa emerito, Benedetto XVI.
“…per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa, Signore”.
La Porta della tenerezza
Lentamente Francesco avanza verso l’Altare della Confessione, dietro di lui la lunga processioni di cardinali, presuli, sacerdoti. Fuori, negli stessi istanti, come per una misteriosa coreografia, anche i cumuli bassi e scuri che fin lì hanno appesantito il cielo di Roma, lucidandola con qualche spruzzo di pioggia, si allargano per far spazio a un raggio di sole che in breve aumenta di intensità orlando di luce le nuvole e dissipandole in gran parte:
“Sarà un Anno in cui crescere nella convinzione della misericordia. Quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia! Sì, è proprio così. Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia. Attraversare la Porta Santa, dunque, ci faccia sentire partecipi di questo mistero di amore, di tenerezza”.
L’amore che perdona
Misericordia, tenerezza, perdono. In settantamila dentro la piazza e moltissimi altri rimasti all’esterno si sono sottoposti dall’alba al rito delle strettissime misure di sicurezza – ripetuti varchi di controllo, perquisizioni minuziose, processioni al metal detector prima che alla Porta Santa, elicotteri come uccelli da guardia alti e dissonanti col rumore dei rotori che si mischia al canto del coro della Sistina – tutto pur di ascoltare dal vivo il messaggio del Papa per l’Anno Santo. Francesco lo introduce con un pensiero a Maria Immacolata, nel giorno della solennità che la celebra, perché proprio in Lei, afferma, si vede come la “storia di peccato nel giardino dell’Eden” si risolva “nel progetto di un amore che salva”:
“C’è sempre la tentazione della disobbedienza, che si esprime nel voler progettare la nostra vita indipendentemente dalla volontà di Dio. E’ questa l’inimicizia che attenta continuamente la vita degli uomini per contrapporli al disegno di Dio. Eppure, anche la storia del peccato è comprensibile solo alla luce dell’amore che perdona. Il peccato soltanto sotto questa luce si capisce. Se tutto rimanesse relegato al peccato saremmo i più disperati tra le creature, mentre la promessa della vittoria dell’amore di Cristo rinchiude tutto nella misericordia del Padre”.
Il Concilio che incontrò il mondo
E c’è un secondo filo di ordito a rendere più preziosa la trama del tessuto giubilare. È l’eredità del Vaticano II, che l’8 dicembre di 50 anni fa chiudeva i lavori per donare alla Chiesa, rammenta Francesco, una monumentale “ricchezza” di fede:
“Il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro”.
Come buoni samaritani
Un anno di grazia, conclude Papa Francesco, acceso dal propulsore della “stessa forza”, dello “stesso entusiasmo”, della “spinta missionaria” che scaturì mezzo secolo fa dal cuore dei padri conciliari:
“Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio. Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano”.